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Cultura & Curiosità

Vesuvio, rischio eruzione e piani di evacuazione

A causa dell’elevata urbanizzazione sviluppatasi, dal dopoguerra in poi, alle falde del Vesuvio vivono quasi settecentomila persone, divise in 18 Comuni. Formano la cosiddetta zona rossa. In pratica gente che vive con una spada di Damocle puntata sulla testa.

Ma cosa accadrebbe in caso di eruzione? Cosa dovrebbero fare gli abitanti di questa enorme area.

Con un’amara battuta si potrebbe dire: “pregare”. Perché sembra più “realistico” confidare nella mano di Dio che nel Piano di evacuazione.

Non perché non esista questo piano. Il Piano regionale prevede l’evacuazione della zona rossa in sole 72 ore, con l’impiego di 500 autobus e 220 treni.

Un piano troppo ambizioso per non suscitare qualche perplessità. A cominciare dal numero dei mezzi necessari. Per gli Stati Uniti questi numeri non sarebbero un grande problema.

Ma dalle nostre parti i trasporti non funzionano nemmeno nella gestione ordinaria. Caos alle metropolitane e alle fermate degli autobus lo dimostrano. Durante l’emergenza Covid il sistema ha collassato.

 

La fuga lungo le stradine del Vesuvio

 

Ma anche se il piano trasporti fosse realizzabile resterebbe un grosso punto interrogativo. La popolazione e preparata per questa evacuazione? Ogni abitante saprebbe cosa fare e dove andare?

La Protezione civile organizza delle esercitazioni. Anche per quanto riguarda i Campi Flegrei e Pozzuoli. Ma conoscendo le cifre di queste esercitazioni non si può essere ottimisti. Spostare duemila persone, in clima week-end, da Pozzuoli non è esattamente come spostarne settecentomila dal Vesuvio. Con la paura che il vulcano possa esplodere da un momento all’altro.

Popolazioni organizzate come quella cinese o coreana si muoverebbero come orologi svizzeri. Ma non perché sono più intelligenti di quelle dei paesi vesuviani. Solo che da quelle parti i piani non si fanno solo sulla carta.

Quindi è molto più realistico immaginare una fuga disordinata, con mezzi propri. Con il panico a farla da padrone. Lungo le “stradine” inadeguate che scendono dal Vesuvio.

Si potrebbe immaginare un quadro simile a quello dei film catastrofici americani. Con infinite colonne di auto bloccate su larghissime strade a tre corsie. Nella realtà queste superstrade diventerebbero le strette  e contorte vie dell’area vesuviana.

 

La folle cementificazione del Vesuvio

 

Aspetto da non trascurare sarebbe la resistenza di qualcuno a lasciare la propria casa. Potrà sembrare da folli. Ma c’è una logica. Sono persone che negli anni hanno scelto di costruire o abitare sotto il più micidiale vulcano d’Europa.

E molti in quel posto hanno tutto quanto posseggono. Si sono abituati a convivere con la paura. Anche se cercano di metabolizzarla.

Ma forse non tutti si rendono conto che la furia del Vesuvio va oltre ogni più nera immaginazione. C’è ancora chi lo considera un Gigante buono.

Un ottimismo ingiustificato che parte dall’eruzione del 1944. La quiescenza successiva creò la falsa convinzione che il Vesuvio fosse un vulcano spento.

Una lettura utilitaristica da parte di chi su queste basi iniziò la cementificazione incontrollata. Partita dagli anni Cinquanta l’edilizia abusiva è cresciuta a dismisura grazie a ripetuti e irresponsabili condoni.

Gli interventi degli scienziati per smentire queste idiozie sono caduti nel vuoto. Né è servito l’invito a rendersi conto che quella è la località a più alto rischio vulcanico del pianeta.

Parole al vento. L’abusivismo non si è fermato. La follia si è spinta fino a costruire a poche centinaia di metri dal cratere.

Del resto, perché incolpare solo i privati se istituzioni amministrative e statali costruiscono nella zona rossa?

L’enorme complesso dell’Ospedale del mare si trova a Ponticelli, quindi in zona rossa.

 

La furia distruttrice del Vesuvio

 

Leopardi lo defì sterminator Vesevo. Altri vulcano killer . Ma quello che è certo è che un’eruzione del Vesuvio è qualcosa di impressionante.

Comincia con un’esplosione che determina la formazione di una colonna eruttiva di materiale piroclastico alta diversi chilometri. Bombe vulcaniche scagliate nell’area più prossima al cratere.

Pomice, cenere e lapilli che trasportati dal vento possono arrivare a diverse decine di chilometri di distanza. E ovviamente il flusso piroclastico che scorre lungo le pendici per molti chilometri.

Tali flussi non si sviluppano a trecentosessanta gradi intorno al vulcano, ma si dirigono in una o più direzioni. Che non è possibile conoscere in anticipo.

 

Le statistiche dell’Osservatorio vesuviano

 

È noto che attualmente il Vesuvio si trova in uno stato di quiescenza. Ma da escludere categoricamente che sia spento. Questo potrà avvenire solo tra moltissimi millenni. Adesso invece potrebbe riprendere l’attività eruttiva in qualsiasi momento.

Dagli studi statistici dell’Osservatorio Vesuviano risulta che il Vesuvio ha alternato periodi di attività eruttiva, con il condotto del vulcano aperto, a periodi di riposo, con il condotto ostruito.

Il periodo di riposo, come quello attuale, corrisponde ad un’attività con frequenti eruzioni effusive o esplosive di bassa energia. Però durante questi periodi di modesta attività, si verifica un accumulo di magma in una camera posta in profondità.

Di solito tali periodi durano secoli e sono interrotti da eruzioni esplosive di impressionante potenza.

 

Le simulazioni di Flavio Dobran

 

Il professor Flavio Dobran è il presidente della GVES, Global Volcanic and Environmental Systems Simulation cioè una struttura per la “simulazione globale del vulcano e dei sistemi ambientali”.

Dobran è uno dei maggiori studiosi del Vesuvio, secondo le sue valutazioni queste eruzioni, definite su media scala, avvengono ogni quattro, cinque secoli. La più recente è quella del 1631,

Il cratere centrale esplose in una notte di dicembre. Fu in quell’occasione che il suo cono si abbassò di quasi duecento metri. Per chilometri e chilometri distrusse tutto quello che lo circondava. Una pioggia di cenere, lapilli e pietre infuocate. Un fiume di lava e fango. E causò circa quattromila morti.

Era in quiescenza da cinquecento anni. Infatti, nel 1139 secondo la testimonianza diretta del segretario di papa Innocenzo II, il Vesuvio «gettò per ben otto giorni potentissimo fuoco e fiamme vive».

Il professor Flavio Dobran è impegnato con uno studio di fattibilità interdisciplinare, sulla resilienza e sostenibilità del territorio napoletano. In altre parole, sta cercando di realizzare un vero piano di intervento ed evacuazione. Tale da evitare che il Vesuvio produca scenari catastrofici con migliaia di vittime.

 

L’apocalisse del Vesuvio

 

Il professor Dobran anche se non nasconde le preoccupazioni sembra essere più cauto nelle sue valutazioni. Infatti, quando nel 2014 era alla New York University, fece previsioni apocalittiche sull’eruzione del Vesuvio. Mancavano solo i quattro cavalieri al galoppo sulla cima del vulcano.

Ritenne che dalle sue simulazioni fosse scaturito che:

“in appena 20 secondi dopo l’esplosione, il fungo di gas e ceneri incandescenti avrebbe già raggiunto i tremila metri di altezza, per poi collassare lungo i fianchi del cono. Nei successivi tre minuti avrebbe già raggiunto Ottaviano, Somma Vesuviana e Boscoreale. Nei successivi quattro minuti avrebbe distrutto Torre del Greco ed Ercolano. Dopo un altro minuto avrebbe cancellato dalla faccia della Terra, Torre Annunziata”.

Oltre che a quelli spaventati a morte, il professore volle rispondere anche a quanti lo ritenevano un menagramo e si toccavano con veemenza.

Sostenne che questo è già successo in passato e non c’è motivo perché non succeda ancora. Il problema è che nessuno può sapere quando avverrà.

 

Segnali premonitori d un’eruzione

 

Ma il vero problema è un altro. Quanto tempo passerà tra la certezza dell’eruzione e l’eruzione?

Infatti, qualcuno ritenne che l’eruzione del 1631 avesse colpito ancora più duramente perché fu improvvisa e inaspettata.

Anche se questo non è assolutamente vero. Pur non disponendo della tecnologia scientifica attuale non mancarono evidenti segnali premonitori. Rigonfiamento anomalo del suolo, sciame sismico per oltre un mese, prosciugamento delle fonti.

È chiaro che in caso di violenta eruzione, neanche un mese di preallarme impedirebbe la distruzione di tutti i paesi alle falde del Vesuvio. Ma permetterebbe di mettere al sicuro la popolazione.

Tuttavia, margini di tempo così ampi non ci sono. La rapidità e il potenziale distruttivo dei fenomeni non consentono di muoversi dopo l’inizio dell’eruzione. Da questo nasce la necessità di un piano di prevenzione.

Dall’eruzione del 1944, secondo gli esperti dell’Osservatorio Vesuviano, il Vesuvio ha iniziato, come già detto, un periodo di quiescenza a condotto ostruito.

Per cui, all’attività fumarolica e sciami sismici di moderata energia, non si sono aggiunte deformazioni del suolo o variazioni dei parametri fisici e chimici della struttura.

 

Rischio Vesuvio. Le tre zone

 

Le previsioni però, sia pur non pirotecniche come quelle ipotizzate da Dobran, non promettono niente di buono.

In base alle esperienze passate, una eventuale ripresa delle attività nei prossimi decenni, causerebbe un’eruzione di tipo sub-pliniano.

Quindi simile a quella del 1631 o del 472 d.C., cosiddetta eruzione di Pollena. Entrambe inferiori solo a quella di Pompei del 79 d.C., che era di tipo pliniano.

La sezione di Napoli dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia controlla lo stato del vulcano 24 ore su 24. Pronta a far scattare eventuali attenzioni o veri allarmi.

Un piano regionale ha suddiviso le aree che potrebbero essere interessate agli effetti dell’eruzione. Tre zone in base al loro indice di rischio. Zona rossa, Zona gialla e Zona blu.

 

Zona rossa

 

È quella a più alto rischio. 18 Comuni per un totale di circa settecentomila abitanti, distribuiti su un’area di duecento chilometri quadrati. Sulle pendici e alle falde del vulcano. Sarebbero interessati alla colata mista di gas e materiale solido ad altissima temperatura. Un fiume che scivolando veloce e inesorabile distruggerebbe tutto quello che trova lungo il suo cammino.

 

Zona gialla

 

La zona gialla comprende 96 Comuni delle Province di Napoli, Avellino, Benevento e Salerno. Circa millecento chilometri quadrati con un milione e centomila abitanti. Questa area non corre rischi troppo gravi se non per gli effetti della ricaduta di ceneri e lapilli. Un sovraccarico eccessivo di particelle sui tetti degli edifici potrebbe causare dei crolli. Difficoltà alle vie respiratorie per le polveri. Problemi per la circolazione aerea, ferroviaria e stradare. Danni all’agricoltura

Però questi fenomeni interesserebbero solo il 10 per cento della zona gialla. Anche se non è possibile prevedere quale sarà l’area interessata. È conseguente all’altezza della colonna eruttiva, alla direzione e alla velocità del vento durante l’eruzione.

Comunque, non è un problema perché gli abitanti di questa area possono essere evacuati anche dopo l’eruzione.

 

Zona blu

 

La zona blu corrisponde alla cosiddetta conca di Nola e si trova all’interno della zona gialla ma con un elemento di ulteriore pericolo. Le sue caratteristiche idrogeologiche, la espongono a inondazioni e alluvionamenti. In aggiunta alla ricaduta di ceneri e lapilli. La zona blu include 14 Comuni della Provincia di Napoli, per un totale di centottantamila abitanti.

Il piano nazionale d’emergenza prevede tre livelli di allerta successivi: attenzione, preallarme, allarme. Qualsiasi variazione dei parametri fisicochimici fa scattare l’attenzione. L’intensificarsi dei segnali preoccupanti porta al preallarme. L’aggravarsi della situazione fa scattare l’allarme perché corrisponde alla quasi certezza dell’eruzione. La diminuzione dei segnali fa rientrare anche il preallarme.

Comunque, è consolante sapere che al momento il Vesuvio dorme tranquillo. Infatti, ancora non è passato il Covid19 che già è arrivata la guerra di Putin. E non è proprio il caso che ci si metta anche Lui.

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