Janara
Leggende

Leggenda della janara, demoniaca strega di Benevento

La janara è una strega. Forse ha dei tratti distintivi propri, ma è comunque una strega. Lo dimostra anche l’uso del termine nel linguaggio popolare. Si dice «pare ’na strega» o «pare ’na  janara». Cioè sembra una strega o sembra una janara. Sono modi di dire che hanno lo stesso significato. In entrambi servono ad additare una donna malvagia, riconoscibile già dal suo aspetto fisico e morale. Un’arpia.

Anche nei rituali hanno molti punti di contatto. Il sabba ne è un esempio. Per le streghe, secondo alcune credenze diffuse in tutta Europa, era un convegno con la presenza del demonio. Riunioni che si concludevano all’insegna della blasfemia con orge e cerimoniali diabolici.

Le janare, secondo la leggenda, si riunivano per celebrare riti satanici simili. Lo facevano sotto un albero di noce sulle sponde del fiume Sabato. Era vietata la presenza degli uomini. L’albero del noce era prescelto per la conformazione simile al cervello. Veneravano un caprone perché rappresentava il demonio, loro padre.

La leggenda trae le sue origini nel Beneventano ma si diffuse lentamente in tutto il Meridione. In particolare, nelle campagne del Casertano e del Napoletano. Quindi, come è normale che sia, ne esistono molte versioni ma poco difformi le une dalle altre.

 

La janara, brutta da far paura

 

Quello che le differenzia, ma non di molto, sono le azioni della janara. I tratti essenziali sono comuni. Quello su cui tutte le leggende concordano è il loro aspetto mostruoso.

Reso ancor più disgustoso dalla nudità con cui apparivano. Infatti, era una vecchia megera che correva a piedi o a cavallo, ossuta, con la pelle flaccida e i capelli sporchi e aggrovigliati.

Trovarsela di fronte non doveva essere una bella esperienza. Una visione spaventosa al punto da lasciare stecchiti. Insomma, non aveva bisogno usare arti magiche o la violenza per far perdere la ragione al malcapitato.

Comunque, non era questo il “modus operandi” della janara. Per realizzare i suoi scopi aveva la necessità di entrare nelle case o nelle stalle.

In casa entrava come il vento. Era invisibile quindi poteva muoversi senza essere vista. Ma era possibile rendersi conto della sua presenza sentendosi accarezzare il viso da una mano gelida. Si riteneva che se la janara fosse riuscita ad entrare, anche una sola volta, sarebbe tornata ripetutamente.

Si dice anche che tentasse di soffocare i giovani, durante il sonno, distendendosi “a corpo morto” sul loro petto e togliendo loro il respiro. Però, questa credenza ha un punto debole. L’assassinio presupponeva che il ragazzo dormisse supino.

 

Le difese per impedire alla janara di entrare in casa

 

Ovviamente non bisogna nemmeno credere che queste janare potessero entrare nelle case trovando le porte aperte. I sistemi “anti-janara” erano ben conosciuti dai contadini. Il più diffuso era quello del sale e della scopa di saggina davanti agli ingressi. Sia porte che finestre.

La janara per poter entrare doveva prima contare i grani di sale e i ramoscelli di saggina. Operazione che, come si può immaginare, è proibitiva, almeno con il sale. Infatti, è facile perdere il conteggio e dover ricominciare daccapo. Una perdita di tempo determinante perché conduceva al sorgere del Sole, suo mortale nemico, che la costringeva ad una fuga precipitosa.

Aveva vita più facile per accedere alle stalle. Si nascondeva fino al momento in cui i contadini andavano via per tornare a casa. Quindi rubava una giumenta e la cavalcava in una folle corsa fino alle prime luci dell’alba. La costringeva ad uno sforzo sovrumano e molte giumente pagavano con la vita l’immane fatica. Per lasciare un segno distintivo di questa sua “gloriosa” impresa faceva delle trecce con la criniera dell’animale.

 

Come difendersi e sconfiggere la janara

 

Comunque, anche se non era facile era possibile sconfiggerla. Bastava (si fa per dire) afferrarla per il suo unico punto debole, i capelli e immobilizzarla.  A questo punto lei avrebbe chiesto «ch’ tien’n man’?» (cosa hai tra le mani?), ma per non soccombere la risposta era solo una:  «fierr’ e acciaij» (ferro e acciaio). Con questa frase, la janara era catturata.

Si dice che esistessero anche delle formule magiche per annullare i loro malefici. Una di queste, molto potente era: «Janara janara ca ’e notte me piglie, te piglio po’ vraccio e te tiro ’e capille”!». Janara, janara che di notte mi prendi, ti prendo il braccio e ti tiro i capelli! Con queste parole la strega diventava visibile e perdeva per sempre i suoi poteri.

Il secondo sistema sembra decisamente preferibile. Catturare la janara con la formula era molto più semplice e meno pericoloso che afferrarla per i capelli. In ogni caso per la janara la sconfitta era letale. Per le streghe non c’era il carcere ma il rogo.  

 

Ma chi erano le janare?

 

Diverse le ipotesi sulle origini. Il termine janara potrebbe derivare Dianara, sacerdotessa di Diana. Però, se questo è vero, non si può fare a meno di chiedersi:  quale legame può esserci tra le janare e la dea.

Diana era la dea della luce lunare, della caccia, delle foreste. Era la protettrice delle donnecaste”, non delle vergini anche se lei lo era. Le sue protette erano le donne “emancipate”, non assoggettate al marito.

Certo era vendicativa. Insieme al fratello Apollo uccise i 12 figli di Niobe, che aveva offeso la madre Latona.  

E tra l’altro, fece sbranare dai suoi cani Atteone, che l’aveva spiata nuda a una fonte. Questo episodio è rappresentato in un bellissimo gruppo scultoreo della Reggia di Caserta. Però decisamente legami con il mondo occulto o diabolico non sembra averne.

 

Diana Nemorense, antica divinità italica

 

La Diana a cui afferiscono le janare sarebbe dunque un’altra. Forse Nemi, un’antica divinità italica detta Diana Nemorense. Conosciuta ancor prima come Iana. Entità femminile di Iano o Diano. Entrambi formavano le facce di Giano, il dio bifronte.

Questa caratteristica permetteva a Giano di controllare chi entrava o usciva dalla porta, in latino “ianua”, attraverso la quale entravano le Janare. Questa ipotesi però appare la più debole.

La più accreditata potrebbe invece essere quella secondo la quale sarebbero sacerdotesse di Diana Caria. La dea da cui deriva il culto del sabba. Il rituale che abbiamo già conosciuto era così detto perché le janare si immergevano nel Sabato, un fiume del Sannio. Come canto liturgico per questo convivio pare recitassero una cantilena:

«’nguento ’nguento, mànname a lu nocio ‘e Beneviente, sott’a ll’acqua e sotto ô viento, sotto â ogne maletiempo». (Unguento unguento mandami al noce di Benevento, con l’acqua e con il vento).

Queste spiegherebbero anche perché sono considerate le streghe di Benevento.

 

Anche il mondo dell’arte le ricorda

 

Esiste anche una versione più terrena di queste streghe. Sarebbero una specie di dottor Jekyll e del mister Hyde. Normalissime donne ma dotate di grandi conoscenze delle arti occulte: fattucchiere.

Il cinema e il teatro hanno tratto spunto da queste leggende.

Roberto Bontà Polito, nel 2015 girò Janara, la leggenda delle streghe di Benevento ambientata a San Lupo, nel Sannio.

Giovanni Del Prete, realizzò un’opera teatrale con lo stesso titolo, Janara, ma basato sullo studio dell’animo umano nell’ambito delle antiche tradizioni popolari. Indirizzo che proseguì con ’Mbriana, improntata sulla stessa ricerca. Insomma, delle opere “impegnate”, destinate ad un pubblico più ristretto.

Nel 2017 fu presentata nella Biblioteca Provinciale Mellusi di Benevento, una mostra con pannelli didattici raffiguranti disegni, fotografie, incisioni, acquarelli e dipinti celebri che offivano numerosi spunti di riflessione, tra l’altro, sulla distorsione dell’immagine della donna, raffigurata come essere ostile e pericoloso. In pratica streghe e janare.

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