Ruota degli esposti - Napoli
Storia di Napoli

La Ruota degli Esposti e i figli della Madonna

La Ruota degli Esposti, conosciuta a Napoli anche come Ruota dell’Annunziata, dal nome del grande complesso monumentale entro il quale si trova, è un cilindro rotante di legno che permetteva, dall’esterno, attraverso una “buca” di inserire un bambino senza essere visti.

L’apertura attraverso il quale veniva introdotto si trova sulla parete esterna del complesso, a sinistra dell’arco d’ingresso cinquecentesco. Al di sotto, vi era un puttino di marmo e una scritta:

O padre e madre che qui ne gettate

Alle vostre limosine siamo raccomandati”.

E lateralmente, una fessura per le offerte utili a sostenere l’opera assistenziale della Confraternita.

Dopo l’immissione del bambino, si avviava la rotazione del congegno che faceva trillare un campanellino e avvertiva la Rotara, sempre di guardia dall’altro lato della Ruota, dell’arrivo di un nuovo esposto.

 

Da figlio rifiutato a figlio della Madonna

 

Attraversando quella Ruota, il bambino diventava “figlio di Ave Gratia Plena” cioè “figlio della Madonna”.

La Rotara lo recuperava prontamente e lo affidava alla levatrice, che ne controllava le condizioni fisiche e se necessario, gli prestava le cure di cui aveva bisogno. Altrimenti veniva lavato e subito dopo battezzato.

Il passo successivo era la Mercatura. Cioè il nuovo arrivato veniva registrato nel Libro della Rota. Innanzitutto, veniva annotata la data, l’ora e il giorno della settimana. Quest’ultimo dato potrebbe apparire un dettaglio superfluo.

Ma aveva una valenza statistica. Almeno nelle intenzioni, capire quale fosse il giorno della settimana durante il quale venivano esposti più bambini. I risultati dimostrarono che un giorno valeva l’altro.

Sul Libro delle immissioni venivano registrati come “Nati in Rota”, anche i bambini partoriti all’interno dell’ospedale dell’Annunziata nella Casa della maternità. Le mamme, dopo il parto potevano scegliere di restare nel brefotrofio come nutrici o per aiutare in altri lavori.

 

Le annotazioni sul Libro della Rota

 

Lo stato di salute, i caratteri somatici, gli eventuali difetti fisici e gli indumenti con cui era arrivato, venivano quindi annotati con molta precisione.

Per una buona metà, gli esposti erano accompagnati dalla cosiddetta cartula, un foglietto che conteneva informazioni sul bambino. Da pochi elementi a notizie molto dettagliate. Spesso anche se era stato battezzato e dove.

Il dove in questo caso era fondamentale perché, senza la conferma del parroco della chiesa indicata, il bambino sarebbe stato comunque battezzato. A volte c’erano anche notizie riguardanti il periodo entro il quale si contava di riprenderlo.

Se sulla cartula non c’era già il cognome, al bimbo veniva attribuito quello che fino ai primi dell’Ottocento era uguale per tutti gli esposti: Esposito.

Di conseguenza questo cognome divenne un marchio discriminatorio per le persone che lo portavano.

 

I Francesi vietano il cognome Esposito per gli esposti

 

I Francesi posero fine a questo elemento di discriminazione. E Gioacchino Murat, durante il decennio di dominazione francese a Napoli ne vietò l’uso.

Ogni esposto doveva avere un cognome diverso e comunque non riconducibile per le sue caratteristiche a marchio distintivo.

Quindi non risultarono idonei i cognomi uguali attribuiti a gruppi troppo numerosi di bambini. Si scelse di utilizzare nomi di origine geografica.

Come quelli dei protagonisti della famosa serie “La casa di carta” usano come pseudonimi: Tokyo, Nairobi, Berlino, Denver, Helsinki ecc.

Ma a distanza di vent’anni, le autorità si resero conto che anche questo criterio era diventato un segno distintivo.

Una norma ne vietò l’uso e per i nuovi cognomi vennero privilegiati quelli relativi alle caratteristiche fisiche, ai caratteri somatici e a particolarità dell’esposto.

 

Nomi di battesimo e ‘signali’

 

Al contrario del cognome, il nome del bambino, quando non era già riportato sulla cartula, veniva scelto dalle Rotare, con straordinaria fantasia. Risulta che abbiano attribuito oltre quattrocento nomi di battesimo diversi. Un calendario completo.

Le cartule erano annotate con la massima precisione al pari di altri oggetti utili ad un eventuale futuro ricongiungimento. Sacchetti, orecchini, collanine. Metà di monete, carte da gioco, bigliettini, immagini sacre.

Frequente l’immagine dell’Agnus Dei, Agnello di Dio, ricamato o cucito sull’abitino o inserito tra le fasce.  Persino, in casi molto rari, segni indelebili sul corpicino. Comunque, qualsiasi signale utile al riconoscimento, in un giorno che difficilmente sarebbe arrivato.

Terminata la registrazione sul Libro della Rota, si metteva al collo dell’esposto il merco. Una sorta di collanina di corda piombata con una medaglietta, che da un lato aveva l’immagine della Madonna. E dall’altro una lettera per l’anno e un numero progressivo, corrispondente a quello del registro.

 

La vita oltre la Ruota degli Esposti

 

In teoria si creavano tutti i presupposti perché un giorno fosse possibile ritrovarsi. Ma in pratica questa speranza raramente si concretizzava.

In parte per le probabilità molto ridotte di miglioramento socioeconomico della madre o dei genitori. Ma principalmente per l’alto tasso di mortalità che si verificava tra i bambini di queste strutture.

L’80-90% durante il primo anno di vita. Insomma, il lieto fine era un evento veramente raro.

Infatti, studi sulla realtà degli esposti dopo il loro arrivo attraverso la ruota e poi nel brefotrofio hanno evidenziato risultati sconvolgenti.

Molti bambini arrivavano già moribondi o morivano nel giro di qualche ora per le condizioni fisiche compromesse dalla fame, dal freddo o dagli stenti. Soccorsi e superata questa fase, la vita in queste strutture non era facile.

 

Le testimonianze d’autore

 

Che la vita in questo orfanotrofio non fosse rose e fiori è testimoniato anche dalle opere di scrittori e artisti.

Antonio Ranieri, ricordato più come amico e sodale di Giacomo Leopardi che come scrittore, nel 1839 pubblicò un romanzo che gli costò quarantacinque giorni di carcere.

Ginevra o l’orfanella della Nunziata, scritto in forma epistolare, è una durissima condanna delle condizioni di vita nel brefotrofio e dei soprusi che subivano gli orfanelli dell’Annunziata.

Purtroppo per Ranieri però le autorità non apprezzarono questa denuncia e, piuttosto che intervenire sulla Casa, lo imprigionarono e sequestrarono i volumi pubblicati.

Questo però non ne impedì la pubblicazione in forma clandestina. E quelle pagine scoperchiarono un vero vaso di Pandora sugli abusi perpetrati abitualmente all’interno della struttura.

 

Il camorrista Carmine Esposito

 

Anche lo scrittore Francesco Mastriani, acuto osservatore della realtà napoletana dell’Ottocento, pose la sua attenzione sulle storture che avvenivano dentro la Casa dell’Annunziata. Ma anche sulle conseguenze che pagavano molti di quei ragazzi usciti dall’orfanotrofio.

Prendendo spunto da queste situazioni creò ne I Vermi il personaggio del camorrista Carmine Esposito. Come da prassi i ragazzi dell’Annunziata a sette anni venivano trasferiti all’Albergo dei Poveri, con lo scopo di imparare un mestiere.

Carmine però, al pari di tanti altri, l’unico mestiere che imparò fu quello del delinquente. È ben presto trovò la sua collocazione nella malavita organizzata.

Gioacchino Toma, esponente di spicco della pittura napoletana dell’Ottocento conosceva bene la difficile infanzia di un orfano. Nel dipinto La guardia alla ruota dei trovatelli mostra due donne addormentate in attesa recuperare l’ennesimo bambino abbandonato nella Ruota, visibile sullo sfondo.

 

La guardia alla ruota dei trovatelli
Guardia alla ruota dei trovatelli (Gioacchino Toma)

 

Il chiostro dei Santi Quaranta

 

Anche l’affollamento aveva un suo peso. Molti bambini venivano affidati a balie esterne. Ma con l’ingresso di un migliaio di bambini all’anno, i numeri erano considerevoli.

Almeno in teoria, perché in pratica, come già detto, il numero veniva ridotto drasticamente dalla mortalità.

Infatti, all’epoca nel Complesso dell’Annunziata c’era un chiostro detto dei Santi Quaranta, che fungeva da cimitero per i bimbi morti poco dopo il loro arrivo.

L’attività della Casa Santa creava anche posti di lavoro. Infatti, con varie modalità venivano assunte le balie per l’allattamento dei più piccoli all’interno del brefotrofio.

In alcuni periodi, come nel Seicento erano migliaia. Nell’Ottocento il numero si ridusse a poche centinaia, di gran lunga inferiore alle necessità. Per cui divenne la principale causa di morte durante il primo anno di vita.

 

Le cause dell’abbandono

 

Le cause di questi abbandoni erano numerose ma tutte legate all’indigenza o alla “vergogna”. Come nel caso dei cosiddetti “figli della colpa”.

Molte di queste madri li abbandonavano perché avrebbero costituito un ostacolo a un futuro matrimonio, o per l’impossibilità di garantire loro la sopravvivenza.

E anche coppie regolari li esponevano sperando di assicurare un futuro migliore ai propri figli, quando non a salvare loro la vita.

Anche il ricovero in ospedale e la detenzione per uno o entrambi i genitori poteva diventare causa di abbandono. Come pure la partenza per obblighi militari o bellici dei maschi che rappresentavano fonte di sostentamento per la famiglia.

Nella gran parte dei casi quindi l’abbandono nella ruota era un atto di disperazione non dettato dalla volontà di liberarsi di un peso.

 

Genitori amorevoli e genitori indegni

 

Chi abbandonava un bambino lo faceva per salvarlo e nella speranza di poterlo un giorno riprendere. Insomma, c’era tutta la sofferenza che può avere una madre costretta a staccarsi dal proprio figlio.  

Amore che certamente non nutriva chi abbandonava i figli perché affetti da pericolose malattie o gravissime disabilità.

Una piccola percentuale degli esposti erano figli legittimi e dichiarati. Alcuni con un cognome, altri che sulla cartula recavano anche le generalità dei genitori.

Naturalmente c’erano anche quelli che abbandonavano i neonati per strada, sui gradini di una chiesa, di una casa signorile. Con grave rischio per il bambino che poteva morire per il freddo, la fame, vittima di qualche incidente, o addirittura divorato da qualche animale.

 

Le femmine esposte erano il doppio dei maschi

 

Gli abbandoni riguardavano maggiormente le femmine. Fino al periodo precedente l’Unità d’Italia il loro numero era circa il doppio di quello dei maschi. Nell’Ottocento questa differenza cominciò a sparire e il numero degli esposti si divise progressivamente in parti uguali.

Questo dato non è per niente difficile da comprendere in una realtà fatta di miseria e di lotta per la sopravvivenza. Senza trascurare in numero di figli di queste stesse famiglie. Dieci o più non erano rari.

In questo contesto le femmine erano “inutili” e potenzialmente costose. I ragazzi già da piccoli potevano essere avviati al lavoro, come garzoni di bottega, e contribuire in casa.

Le femmine, sotto il profilo economico, pesavano passivamente sulla famiglia. E per uscirne avrebbero avuto bisogno della dote per il matrimonio.

 

Quattromila abbandoni nella Ruota degli Esposti

 

Il fenomeno delle esposizioni aumentò in maniera considerevole nel Settecento per le conseguenze belliche, epidemiche e la scarsità alimentare dovute a siccità e disastri climatici.

Infatti, la media annua delle 400-500 esposizioni per buona parte del Seicento cominciò a crescere verso la fine del secolo. E nel Settecento si passò dagli oltre mille del primo decennio ai duemila e più di fine secolo.

Nel 1764, l’anno della grande carestia, quando 30.000 persone morirono per fame e febbri putride, nella Ruota degli Esposti furono abbandonati 4.000 bambini. Un estremo ma vano tentativo di salvarli da una morte sicura.

Infatti, nemmeno le balie erano sfuggite a quella tragica situazione e la Casa si trasformò in un enorme cimitero degli esposti.

 

Record di abbandoni nel Settecento

 

L’impennata del Settecento, con numeri che comunque rimarranno su questa media anche nell’Ottocento, fu favorita anche dalla promiscuità del lavoro nei campi.

Oltre che dall’arrivo a Napoli delle ragazze provenienti dalle campagne per andare a servizio presso famiglie nobili e ricche. E che frequentemente erano abusate dai “padroni”.

L’anonimato era un aspetto fondamentale della Ruota degli Esposti. Ma non per quella di Napoli.

I bambini venivano introdotti in pieno giorno. E la gente del quartiere esprimeva platealmente il proprio disprezzo verso la donna che si stava liberando del figlio. Salvo poi organizzare, subito dopo, una piccola festa in onore dell’esposto.

 

Nella Ruota degli Esposti in pieno giorno

 

Un’anomalia completamente priva di logica? Non avendo interesse all’anonimato perché non consegnarli direttamente alle suore dell’orfanotrofio?

Perché solo entrando attraverso la ruota si diventava Figli della Madonna. E si acquisivano i privilegi che erano loro riservati.

Infatti, anche quelli raccolti in altri luoghi venivano immessi nella buca della Ruota degli Esposti. Il grande problema era piuttosto rappresentato dalle dimensioni di questa buca.

Il regolamento prevedeva che: «Gli esposti non potranno altrimenti esser ricevuti nello Stabilimento, se non passando per una buca quadrata di tre quarti di palmo, che dalla strada dell’Annunziata risponde ad una ruota».

Un palmo a Napoli era 26 centimetri circa, quindi questa buca era un quadrato con 20 centimetri di lato. Uno spazio appena sufficiente a permettere l’entrata di un neonato.

 

Straziati nella Ruota degli Esposti

 

Questo era il vero motivo per cui venivano esposti di giorno. Per il godimento dei privilegi, si facevano passare attraverso quella buca anche bambini di quattro anni. E in qualche caso persino di cinque e sei anni, spalmandoli con uno strato di grasso.

Una mostruosità. Uno strazio che comportava per le povere creature fratture e lesioni di estrema gravità. Tali che quanto meno li avrebbe condannati ad una invalidità permanente.  

In media, comunque, il 65% dei bambini venivano esposti durante il primo mese di vita. E di questi il 30% durante il primo giorno.

 

La buca della Ruota degli Esposti di Napoli
La buca della Ruota degli Esposti di Napoli

 

I privilegi dei Figli della Madonna

 

In base alle leggi ecclesiastiche i figli illegittimi non potevano diventare sacerdoti. Ma grazie ad uno dei privilegi di cui godevano i Figli della Madonna, questo era loro consentito.

Le ragazze invece non potevano prendere i voti in senso pieno. Ma grazie ad una formula particolare, nota come oblatismo, potevano professare i “voti minori” e vestire l’abito religioso.

I ragazzi abitualmente venivano avviati alle scuole professionali. Dalla seconda metà del Settecento e con l’apertura delle scuole all’interno del Real Albergo dei Poveri, i bambini già a sette anni venivano mandati ad imparare un mestiere.

Le ragazze aldilà della vita monacale potevano scegliere di restare a vita nella Casa Santa o ritornarvi qualora fossero state affidate all’esterno. Se invece avessero scelto di sposarsi avrebbero beneficiato di una dote.

 

Avvizziti  principi azzurri

 

Il giorno dei “fidanzamenti” era il 25 marzo di ogni anno, festa dell’Annunciazione. In questa data le ragazze interessate si radunavano in un cortile. Venivano schierate in doppia fila “per farle vedere” agli uomini in cerca di moglie.

I pretendenti effettuavano la loro proposta lasciando cadere un fazzoletto ai piedi della prescelta. Se questa lo avesse raccolto il matrimonio sarebbe stato da considerarsi cosa fatta.

Inutile dire che gli aspiranti non erano il massimo a cui una donna potesse ambire. Anziani, poco desiderabili e a volte anche poco raccomandabili.

Ma queste ragazze immaginavano che il matrimonio fosse la chiave per la realizzazione dei propri sogni. E guardavano con benevolenza al proprio “principe azzurro”.  

 

Origini della Ruota degli Esposti

 

La Ruota degli Esposti è un’istituzione che ebbe le sue origini in Francia prima di diffondersi in tutta Europa. Con il passare degli anni tutte le maggiori città italiane ne ebbero una.

Storicamente la prima Ruota è quella dell’ospedale dei Canonici di Marsiglia nel 1188.

Appena un decennio dopo, papa Innocenzo III istituì la Ruota dei Projetti nell’ospedale romano di Santo Spirito in Sassia.

Poi seguirono quelle che maggiormente hanno ispirato l’opera della Ruota degli Esposti:

  • la Scafetta o Ruota degli Innocenti del Pio Ospedale di Pietà di Venezia
  • la Ruota degli Esposti dell’ospedale di Santa Caterina a Milano,
  • la Ruota di Santa Maria degli Innocenti a Firenze.

 

Un argine ai troppi infanticidi

 

Questa istituzione fu un presidio di estrema importanza contro gli infanticidi e la consuetudine di abbandonare i neonati per le strade, sulle scale delle chiese o in altri luoghi che spesso ne determinavano la morte.

A Napoli la Ruota degli Esposti era annessa al complesso della Real Casa Santa dell’Annunziata, composto da un convento, un ospedale, un orfanotrofio e un conservatorio per le ragazze povere.

Tutte le attività erano gestite dalla Congregazione della Santissima Annunziata fondata nel 1318 per iniziativa dei fratelli Jacopo e Nicolò Scondito.

Questa Congregazione, grazie al contributo di Roberto d’Angiò, costruì dapprima una chiesa e un ospedale. Poi nel 1343, per volontà della seconda moglie di Roberto, Sancia di Majorca nacque il grandioso complesso della Real Casa dell’Annunziata.

E proprio la regina volle fosse praticato un foro sulla parete esterna dell’ospedale e vi fosse costruito il marchingegno che originariamente prese il nome di Rota dei Pittarelli. Ma era in pratica il prototipo della Ruota degli Esposti.

La missione di questa Congregazione era, oltre che porre fine alla strage di bambini abbandonati, l’assistenza ai poveri e ai malati.

La Ruota fu chiusa nel 1875. Ma l’affluenza dei bambini non si interruppe. Invece che nella Ruota degli Esposti venivano abbandonati sulle scale della chiesa. Nel 1980 anche il brefotrofio è stato definitivamente chiuso.

 

Ma esiste ancora la Ruota degli Esposti?

 

Sia pure in versione moderna, ma sì. In Italia non sarebbe necessaria perché c’è una legge che consente alla madre di non riconoscere il figlio e lasciarlo nell’ospedale in cui è nato.  

Le sue generalità rimangono segrete per sempre e nell’atto di nascita del bambino viene scritto “nato da donna che non consente di essere nominata”.

Tuttavia, ci sono situazioni nelle quali non si può o non si vuole partorire in ospedale. Il caso classico è quello degli immigrati clandestini.

Per rispondere alle esigenze di queste persone e salvaguardare il benessere dei neonati, al Policlinico Casilino di Roma è nato “Non abbandonarlo, affidalo a noi”.

Le mamme che non hanno partorito in ospedale possono recarsi in una piccola struttura prefabbricata, nei pressi del Pronto soccorso. Priva di qualsiasi sistema di telecamere e registrazioni. Sempre aperta in qualsiasi ora del giorno e della notte.

Dall’interno, permette di poggiare attraverso una finestra il piccolino in una culla che si richiude automaticamente e fa scattare il segnale acustico per avvisare il personale che deve intervenire.

Le ruote “tecnologicamente avanzate” funzionano ancora nei Paesi dove la legge non consente l’abbandono anonimo in ospedale. In Germania sono attive circa un centinaio. E sono numerose nell’Asia Meridionale e in Sudafrica.

 

È possibile visitare la Ruota degli Esposti:
dal lunedì al sabato ore 9.00 – 18.30 (ultimo ingresso)
indirizzo: via Annunziata, 34 – tel. 081/289032

Lo straordinario Archivio della Real Casa Santa dell’Annunziata è consultabile all’interno della stessa, secondo le modalità illustrate sul sito.

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