masaniello
Personaggi storici

Masaniello, la vera storia di una rivoluzione tradita

Masaniello nonostante la tradizione gli abbia attribuito i natali ad Amalfi è, senza ombra di dubbio, napoletano “verace”.

I documenti originali ritrovati dal poeta Salvatore Di Giacomo nella parrocchia di Santa Caterina in Foro Magno non lasciano dubbi. L’atto ufficiale, datato 29 giugno 1620, recita: “Thomaso Aniello figlio di Cicco d’Amalfi et Antonia Gargano è stato battezzato da me D. Giovanni Matteo Peta, et levato dal sacro fonte da Agostino Monaco et Giovanna de Lieto al vico Rotto”.

Appare evidente che a trarre in inganno sia stato il cognome.  La casa della famiglia D’Amalfi era situata quindi in vico Rotto al Lavinaio, a breve distanza dalla piccola chiesa di Santa Caterina, distrutta nel 1945 dalle bombe americane. La zona era quella di piazza Mercato, Foro Magno all’epoca.

 

Masaniello pescivendolo, contrabbandiere e plebeo

 

Masaniello è stato sempre ritenuto un pescatore e pescivendolo. Ma come sostiene Muzi, uno storico dei giorni nostri, non era nell’uno né l’altro. Era un venditore di pesce rubato, in pratica un contrabbandiere.

 

Masaniello James E. Freeman.
Masaniello in un dipinto di James Edward Freeman.

La sua rivoluzione iniziata il 7 luglio 1647 durò solo nove giorni e finì molto male. Però fece da volano alla fondazione della Real Repubblica Napolitana. Altra fallimentare parentesi durata meno di sei mesi, dal 22 ottobre 1647 al 5 aprile 1648.

L’insurrezione popolare di Masaniello esplose con estrema violenza il 7 luglio del 1647. La gabella sulla vendita della frutta fu la goccia che fece traboccare un vaso da tempo colmo.

All’epoca la frutta non era una portata di fine pasto o una scelta dietetica come lo è per noi. Per il suo costo contenuto e l’abbondante disponibilità era il pasto spesso unico della popolazione più disagiata. Vale a dire della plebe napoletana. La sommossa mirava all’eliminazione degli esosi balzelli e il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali.

 

Viva ’o Rre ’e Spagna, mora ’o malgoverno

 

Di sicuro non era un tentativo di affrancarsi dalla dominazione spagnola, come vollero immaginare i rivoluzionari italiani del Risorgimento. Anzi Masaniello e tutti gli insorti erano fedelissimi sostenitori della Corona. Il loro grido di battaglia era: «Viva ’o Rre ’e Spagna, mora ’o malgoverno».

 

Aniello Falcone Ritratto Masaniello
Ritratto di Masaniello disegnato da Aniello Falcone

Quindi il nemico da abbattere non era il re di Spagna, all’epoca Filippo IV, ma l’odiato Rodrigo Ponce de León, duca d’Arcos e viceré di Napoli.

Ponce de León era ritenuto l’unico responsabile del sistema daziario che depredava la popolazione. Anche se questo era vero solo in parte. Il viceré era solo colpevole di non impedire i soprusi.

Anzi aveva già deciso di abolire quella tassa ma si lasciò influenzare dal parere dei suoi consiglieri. Nobili che avevano celati interessi personali sugli appalti delle imposte. Don Rodrigo era preoccupato della piega che stavano prendendo gli eventi e dall’insofferenza popolare.

Del resto, era reduce da una brutta esperienza. All’uscita dalla chiesa della Madonna del Carmine, dopo la messa una folla immensa aveva circondato la carrozza. Pretendevano l’abolizione della contestata gabella. Il viceré se l’era vista brutta ma era riuscito a svignarsela promettendo l’abolizione della tassa.

 

Arrivano le voci sui tumulti di Palermo

 

La paura era stata sufficiente ed era convinto a mantenere la parola data. Ma intervennero i soliti nobili convincendolo che quello sarebbe stato un segnale di debolezza. Mentre al contrario con quel popolo era molto più efficace usare il bastone.

Il duca seguì il consiglio dei cortigiani e come Ponzio Pilato se ne lavò le mani. Così il 3 gennaio del 1647 vennero pubblicate le nuove esose tariffe. Il popolo era furioso ma impotente dovette subire.

Dazi e gabelle colpivano ogni prodotto e attività della vita quotidiana. Ce n’erano sulla seta, sul sale, sull’olio, sull’orzo, sulla carne, sui salumi, sul grano, sulla calce, sulle carte da gioco, sull’oro e l’argento filato e ovviamente su ogni tipo di contratto.

Quando l’idea di una nuova gabella si dimostrava di difficile realizzazione veniva sostituita con l’aumento di qualcuna già esistente.

Ma il 20 maggio successivo giunsero voci dei tumulti scoppiati a Palermo per gli stessi motivi. Violenti scontri e assalto agli uffici del dazio. La rivolta ottenne l’abolizione perpetua dele gabelle fiscali della farina, del vino, dell’olio, delle carni e del formaggio.

Il viceré, marchese di Los Velez, incapace di gestire un’emergenza del genere si lasciò travolgere dagli eventi. La resa incondizionata alle richieste della folla fece dilagare a macchia d’olio la rivolta nell’intera Sicilia.

 

Masaniello forma il suo esercito di ‘alarbi’

 

L’esempio di Palermo fu recepito con entusiasmo dai napoletani e cominciarono a maturare i tempi dell’azione. Il fuoco della ribellione cominciò a circolare tra un popolo portato all’esasperazione.

Si registrarono i primi atti di violenza. Seppur isolati. La notte del 6 giugno uno sconosciuto, che poi si scopri essere Masaniello, diede fuoco ad un casotto del dazio.

Intanto comparirono in tutta la città cartelli che invitavano la gente a scendere in piazza il 23 giugno. Era il giorno di una classica cavalcata di San Giovanni. Sarebbero state presenti tutte le autorità. Quindi era l’occasione adatta per avanzare le proprie richieste.

In effetti, l’idea era quella di una semplice manifestazione ma il viceré ebbe paura e abolì la festa per quell’anno. Tuttavia, ordinò ai soliti nobili di eliminare quell’odiata imposta sostituendola con qualunque altra. Ma questi non si arresero e annullarono l’ordine del duca corrompendo delle autorità spagnole.

Era caduta l’ultima occasione di evitare lo scontro. Masaniello cominciò a prepararsi organizzando un nutrito gruppo di alarbi, cioè arabi, a lui fedeli. Scugnizzi, vestiti di stracci, scalzi e armati di canne.

 

16 luglio scoppia la rivoluzione di Masaniello

 

Il 16 luglio festa della Madonna del Carmine, Masaniello poteva ormai contare su 200 alarbi. Alla fine del mese decise di passare all’azione. Con un corteo di scalcagnati pezzenti si propose di scardinare le fortezze. Invece arrivato davanti al Palazzo reale si limitò ad intonare un coro di protesta contro le tasse. Ovviamente sempre esprimendo la sua lealtà al re e alla Spagna.

Masaniello nonostante il suo esercito, sia pure male in arnese, aumentasse ogni giorno di più, avrebbe voluto percorrere la via “diplomatica”. Ma le autorità, a qualsiasi livello lo snobbarono. L’Eletto del popolo, Naclerio, che doveva essere il loro difensore li cacciò via. Disse loro di smetterla con queste manifestazioni e tornare al loro lavoro senza creare altri problemi.

Nell’accesa discussione che ne seguì, colpì con uno schiaffo il fratello di Masaniello. Fu la scintilla che fece esplodere la rivolta. Naclerio si salvò a stento dalla folla riuscendo a rifugiarsi negli appartamenti della viceregina.

 

Si scatena la rivolta di Masaniello

 

È questo il momento in cui Masaniello si mise a capo della rivolta che in poche ore infiammerà l’intera città. Il capopopolo con un migliaio di indemoniati assaltò il Palazzo reale ed entrò negli appartamenti della duchessa. Proprio dove si era rifugiato Naclerio. Ma anche in quest’occasione l’Eletto riuscì a fuggire.

I tumulti proseguirono in una sfrenata anarchia. Bande armate guidate da uno sconosciuto siciliano assaltarono le carceri e liberarono i detenuti. Tranne quelli della Vicaria. Altri diedero fuoco ai registri daziari e agli uffici stessi.   

Le prime vittime di questa rivolta furono i nobili, i borghesi ricchi e i funzionari governativi. Atti vandalici, vendette, esecuzioni sommarie, risoluzioni di antichi rancori insanguinarono le strade di Napoli. Una vera e propria resa dei conti.

Anche il viceré tentò una fuga disperata ma la sua carrozza venne circondata e si salvò miracolosamente dalla furia di un attentatore. Si rifugiò nel Convento di San Luigi e fece lanciare alla folla inferocita biglietti nei quali dichiarò ufficialmente l’abolizione dell’imposta.

 

L’ombra occulta del perfido Genoino

 

Quindi la rivolta aveva raggiunto il suo scopo. Ma non per Giulio Genoino. Infatti alle spalle di Masaniello c’era la guida occulta di questo vecchio ecclesiastico. Giulio Genoino, anima e mente della rivolta. Prete ultraottantenne e personaggio torbido nonostante le sue idee rivoluzionarie e l’odio per i nobili.

 

Masaniello-pieter-de-jode
Masaniello (Pieter de Jode)

Aveva tentato la rivoluzione già nel 1620 ma era andata male. Per la sua indole litigiosa e turbolenta era finito più volte in galera.

Era stato condannato persino all’ergastolo e spedito in una prigione africana. Ma era stato graziato con l’obbligo di restare in Spagna. Tuttavia, riuscì a tornare a Napoli. E a finire ancora in prigione.

Nel 1639, ormai settantaduenne colse un’occasione offerta dal Concilio di Trento e si garantì la vecchiaia sotto l’ala protettrice della Chiesa.

 

I fantomatici Capitoli di Carlo V

 

Quando Masaniello fu nominato Capitano generale del fedelissimo popolo, fu proprio con la regia di Genoino che costrinse il viceré a concedere una costituzione popolare. Ispirata, secondo il vecchio prete, ai capitoli di Carlo V.

Nel Medioevo capitoli era un termine latino che indicava l’ordinanza emessa dai sovrani carolingi. In questo caso non significava nulla perché i capitoli di Carlo V non erano mai esistiti. Una pura invenzione di Genoino che però raggiunse il risultato prefissato.

Ma a cosa mirava il perfido vegliardo con l’approvazione di questo atto? Per capirlo bisogna fare un passo indietro. La struttura organizzativa di Napoli era suddivisa in sei Sedili, una sorta di circoscrizioni.

Cinque Sedili appartenevano di diritto ai nobili. Il sesto, era l’Eletto del popolo. Veniva scelto dal re, nella migliore delle ipotesi, ma era condizionato dai nobili. Molto spesso si lasciava corrompere e passava dalla loro parte. Di conseguenza il popolo non poteva contare su nessuno che difendesse i suoi diritti nel governo municipale.

Secondo Genoino, questi capitoli avrebbero determinato una riforma amministrativa che annullava i privilegi dei Sedili della nobiltà. Avrebbero messo tutti i Sedili sullo stesso piano. Una riforma che non avrebbe potuto essere annullata dalle autorità locali perché avallata dalla Spagna.

Il problema era che questi capitolari non si trovavano e il viceré non sapeva che pesci pigliare. Masaniello manovrato da Genoino li pretendeva con insistenza. Il duca ordinò a nobili e prelati di trovare questi benedetti capitoli.

 

Masaniello Onofrio Palumbo
Il Masaniello di Onofrio Palumbo

 

Finalmente si trovano i privilegi

 

Dopo decine di fallimenti venne alla luce un privilegio concesso però da Ferdinando il Cattolico, di cui Carlo V era comunque un successore. Questo documento accontentò Genoino. Tanto serviva solo a dimostrare l’esistenza di quell’atto. Quello che lo interessava lo avrebbe riscritto lui. 

 Il 13 luglio fu firmato il capitolato comprendente immunità, prerogative varie e privilegi. Un atto che ampliò e aggiunse nuovi privilegi ai fantomatici capitoli di Carlo V.

A questo punto la rivolta si poteva considerare veramente conclusa perché Genoino e altri suoi compari ritennero di poter controllare agevolmente Masaniello.

Ma si sbagliavano. Nel frattempo, Masaniello si era reso conto di essere il capo assoluto della rivolta e del potere che aveva acquisito. Era diventato un capopopolo pazzoide e pronto a scatenare la furia cieca dei lazzaroni.

 

Masaniello diventa una belva assetata di sangue

 

Masaniello cominciò a manifestare gravi scompensi mentali. La natura e le cause di questo crollo psichico non sono chiare. Appaiono plausibili, ma fino ad un certo punto, gli effetti dell’esaltazione del potere.

Secondo diverse fonti l’uscita di senno di Masaniello sarebbe stata indotta, o almeno favorita, dall’assunzione della roserpina, un potente allucinogeno utilizzato all’epoca dagli spagnoli.

Gli sarebbe stata somministrata, a sua insaputa, nel vino che bevve in abbondanza durante un banchetto a cui era stato invitato insieme alla moglie, Bernardina.

Quello che è certo è che si trasformò in una belva assetata di sangue. Ordinò l’uccisione senza giustificati motivi di centinaia di persone. Persino di quelle più vicine a lui. Tra cui il suo amico camorrista Perrone di Amalfi insieme alla sua numerosa banda.    

Poi giunse il fatidico 16 luglio 1647, festa della Madonna del Carmine.

 

La follia di Masaniello e la reazione del ‘popolo suo’

 

Nella notte precedente si era svegliato di colpo e si era affacciato alla finestra che dava su piazza Mercato. Quindi introdotto dal solito «Popolo mio» aveva iniziato uno strampalato discorso alla folla.

 

Masaniello parla al popolo
Masaniello parla al “popolo suo”

Sosteneva di aver dato tanto ed essere stato ripagato con l’ingratitudine. Accusava il popolo di averlo osannato fino a pochi giorni prima ma di avergli ormai girato le spalle condannandolo di fatto alla morte.

Un discorso amaro e commovente se si fosse concluso prima di degenerare in un crescente delirio.

Infatti, si abbandonò ad uno spogliarello praticamente integrale per mostrare come si fosse ridotto nel corpo per la fatica che gli era costato quell’impegno. Ma non ottenne l’effetto sperato. L’aberrazione fu accolta dal popolo con risa, beffe e rabbia.

Per evitare il peggio dovettero intervenire i parenti e trascinarlo a forza dentro casa. Quando ritornò in sé dovette rendersi conto che era il caso di sparire per un po’ dalla circolazione. Si rifugiò nella chiesa del Carmine per sfuggire all’ira della folla e ci riuscì ma non fu sufficiente a salvargli la vita.

 

Masaniello Piazza Mercato
Micco Spadaro: piazza Mercato all’epoca della rivolta di Masaniello

 

L’efferato assassinio del capopopolo

 

Alcuni capitani delle ottine al soldo degli spagnoli lo convinsero con l’inganno ad aprire la porta e lo freddarono con 5 colpi di archibugio.

Quindi Carlo Catania, fornaio, uno dei capi delle milizie popolari di Masaniello, gli recise la testa con un coltello e la infilò su una picca.

 

Lapide casa Masaniello
Lapide commemorativa posta in vico Rotto al Lavinaio dove si trovava la casa di Masaniello.

Poi attraversò la città con il macabro trofeo fino al palazzo reale per mostrarlo al viceré come prova dell’avvenuta esecuzione.

Gli altri degni compari dilaniarono il corpo e lo gettarono nelle vie del circondario. Si concluse così tragicamente la rivolta del duce-pescivendolo.

L’epilogo non fu meno crudele per suoi familiari e per la moglie Bernardina. Ma furono molti di più quelli che ne trassero cospicui vantaggi, non soltanto sotto il profilo economico.

In primo luogo, tutti quelli che avevano tradito e gli assassini. Lo stesso Genoino, anima della rivolta, riuscì a riconvertirsi prontamente e raccogliere immeritati frutti.

Il popolo dal canto suo si rese conto con un giorno di ritardo dell’errore che aveva fatto: chi avrebbe difeso quei diritti per i quali si erano battuti strenuamente?

Come rinsaviti iniziarono a raccogliere le parti del corpo di Masaniello per rimetterle insieme e dargli una rispettosa sepoltura.

Quindi organizzarono dei funerali degni dell’uomo che per qualche giorno gli aveva fatto sognare una vita diversa.  

 

Luci e ombre sulla figura storica di Masaniello

 

Masaniello rimane tutt’oggi un personaggio molto controverso. Dapprima ammirato, quindi bistrattato e poi in parte riabilitato.

Nell’Ottocento, come già detto,  era considerato dai rivoluzionari del Risorgimento un patriota ante litteram. Un eroe che aveva avuto il coraggio di opporsi alla dominazione spagnola lottando per l’indipendenza.

Una visione romantica e distorta della realtà. Il popolo inneggiava al re di Spagna mentre assaltava le fondamenta di un governo arrogante e famelico.   

Storici del primo Novecento, come Michelangelo Schipa e Benedetto Croce al contrario gli hanno attribuito delle connotazioni negative e buffonesche. Schipa lo considerò una semplice marionetta tra le mani di Genoino.

Studiosi più moderni hanno contestato decisamente questa visione riduttiva. Giuseppe Galasso ha riconosciuto l’importanza fondamentale di Masaniello in quella rivolta. Aurelio Musi lo definisce un vero plebeo ma con la capacità di riunire come per incanto interessi inconciliabili come quelli dell’aristocrazia, del popolo e degli artigiani.

La singolare intelligenza di Masaniello viene testimoniata dagli stranieri che ebbero modo di incontrarlo durante quei nove giorni.

E qualora sussistessero ancora dei dubbi sulla sua figura li cancella il grande filosofo Spinoza. Era talmente attratto da quel personaggio che lo ritrasse in un bozzetto a carboncino ma con i suoi lineamenti.

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