Mozzarella
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Storia e leggenda della mozzarella di bufala campana

La leggenda sulle origini della mozzarella di bufala riporta alla mitologia etrusca e ad un tipo di mozzarella molto particolare: la zizzona.

Conosciuta anche come mozzata ha delle dimensioni notevoli. Il suo peso va da uno a cinque chilogrammi.

Il termine zizzona in alcuni dialetti regionali definisce un prosperoso seno femminile ed è appunto la forma che ha questo prodotto.

Comunque, secondo la leggenda il segreto della mozzata o mozzarella di bufala era custodito gelosamente da una ninfa delle paludi.

Il suo nome era Baptì-Palìa e il suo compito era svegliarsi all’alba, mungere le bufale, preparare la mozzata e portarla agli dei.

Infatti, questo cibo succulento era riservato solo agli dei e per tale motivo il procedimento di produzione doveva rimanere assolutamente segreto.

 

La ninfa Beptì-Palìa svela il segreto

 

La ninfa aveva sempre ottemperato con scrupolo a questo suo vincolo. Anche perché il carattere intransigente dei suoi signori induceva ad una certa prudenza. Infatti quando si arrabbiavano erano sempre molto crudeli.

Ma nonostante tutti i timori il ferreo vincolo si ruppe quando la ninfa vide un giovane pastore, Tusciano, che dormiva sulla riva del fiume.

La rara bellezza del ragazzo fece perdere la testa a Baptì-Palìa che con “dolci baci e languide carezze” gli regalò un risveglio paradisiaco.

Tuttavia questo non era un argomento che poteva irritare gli dei. L’irrefrenabile passione non era un problema, perché le ninfe non avevano obbligo di castità.

Ma il problema esplose in tutta la sua gravità quando la ninfa innamorata perse del tutto il lume della ragione.

Infatti la folle infatuazione la spinse a donare a Tusciano un prezioso, e forse nemmeno richiesto, pegno d’amore.

Ma purtroppo per loro tra i tanti possibili scelse quello meno opportuno: gli svelò la ricetta segreta della mozzarella nonostante l’inviolabile divieto posto dagli dei.

 

La ninfa trasgredisce l’obbligo 

 

Un errore inaudito e inutile che tuttavia si sarebbe concluso senza conseguenze se il giovanotto avesse tenuto la bocca chiusa.

Al contrario Tusciano non seppe resistere alla tentazione di vantarsi per la straordinaria conquista e a dimostrazione che non era una fandonia spifferò il segreto.

Qualcuno volle provarlo e il risultato confermò il valore di quella rivelazione. Infatti la notizia di questo cibo divino, insieme alla ricetta stessa, arrivo ben presto agli abitanti del circondario. Poi si allargò a macchia d’olio.

Quando gli dei si accorsero del tradimento non la presero per niente bene. Tinia, equivalente etrusco di Giove, andò su tutte le furie e pur rinunciando ai suoi fulmini per incenerire gli amanti gli riservò una pena più spietata e sottile.

Furono condannati ogni notte a vagare chiamandosi in eterno per quelle paludi. Ma senza mai incontrarsi.

 

La fantastica storia d’amore di Ladyhawke

 

Un storia simile a quella che una trentina d’anni fa il regista Richard Donner portò sul grande schermo: Ladyhawke.

«Sempre insieme, eternamente divisi. Finché il sole sorgerà e tramonterà. Finché ci saranno il giorno e la notte».

È il triste destino del capitano Etienne Navarre e della bella Isabeau d’Anjou, protagonisti di un amore impossibile.

A causa di una maledizione stanno sempre insieme ma non possono mai incontrarsi. Infatti di giorno il giovane è un cavaliere che viaggia accompagnato da un falco.

Il rapace altri non è che Isabeau che al calar delle tenebre assume sembianze umane ma contemporaneamente l’amato diventa lupo.

Alla fine comunque i due giovani riescono a rompere questo incantesimo e ritornare una normale coppia di amanti.

Dopo tanti secoli comunque anche la ninfa e del pastorello poterono beneficiare della “parziale” clemenza degli dei.

Con somma gioia anche degli abitanti di quelle terre che non ne potevano più di sopportare ogni notte questi continui lamenti.

Adesso i due innamorati si sono ricongiunti, sia pure in forma diversa. La ninfa Baptì-Palìa è diventata una città e Tusciano il fiume che l’attraversa.

 

La mozzarella: dal convento al marchio Dop

 

Storicamente la mozzarella è nata a Capua nel XII secolo nel monastero di San Lorenzo. I monaci la offrivano abitualmente ai fedeli che arrivavano in pellegrinaggio.

La produzione di questo prodotto caseario da parte dei religiosi non fu una scelta ma una necessità dettata dal senso pratico.

Infatti all’epoca, mancando le strutture per la refrigerazione, il latte non poteva essere conservato. La trasformazione del latte in formaggi e latticini permetteva di prolungare i tempi di conservazione.

Però per una produzione organizzata dovettero passare ancora cinque. Infatti nel XVII secolo i Borboni di Napoli, nella tenuta reale di Carditello, fecero mettere a punto le strutture necessarie a perfezionare e sviluppare la produzione casearia.

Produzione che dopo l’unità d’Italia trovò il suo primo mercato all’ingrosso ad Aversa.

Il resto è storia recente e come sappiamo la mozzarella arriva in tutto il mondo. Anche se c’è mozzarella e mozzarella.

Infatti nel 1981 nacque il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana. E nel 1996 ottenne la Denominazione di origine protetta, Dop.

Stranamente questa classificazione esclude la zizzona di Battipaglia nonostante sia da considerare una top-mozzarella.

L’ostacolo a questo riconoscimento è rappresentato dal peso e dalle dimensioni che non rientrano nei canoni stabiliti dal marchio Dop.

La mozzarella è strettamente legata anche ad un altro prodotto tipico della tradizione culinaria napoletana: la pizza. Ma in effetti il formaggio principe della pizza è il fiordilatte per una questione di consistenza. 

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