Salvatore Di Giacomo
Personaggi storici

Salvatore Di Giacomo, poeta, novelliere e drammaturgo

Se la canzone napoletana è famosa nel mondo lo deve in buona parte ai versi e alle musiche nati tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Poesie scaturite dalla penna di giganti quali Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Ernesto Murolo, Vincenzo Russo, Edoardo Nicolardi. E musicate da E.A. Mario, Eduardo Di Capua, Ernesto De Curtis. Questo solo per ricordare i nomi più significativi.

E con uno spazio riservato a Giovanni Capurro autore insieme al maestro Di Capua della canzone napoletana più famosa nel mondo. Oltre che una delle più famose in assoluto: ’O sole mio

Canzoni che ebbero alla loro uscita un successo straordinario e ancora adesso emozionano tutti. Tranne alcuni dei loro autori. Anzi in qualche caso furono ritenute dei peccati da nascondere per non compromettere la propria immagine.

Salvatore Cardillo, autore della musica, definiva Core ’ngrato la “quella mia porcheriola”.

 

Dai tavolini del Gambrinus una finestrella su Marechiaro

 

Complimentarsi con Salvatore Di Giacomo per i versi di Marechiare significava turbarlo profondamente e alienarsi le sue simpatie. Infatti, era molto permaloso nonostante il carattere gioviale.

Sembra abbia scritto questi versi nel 1886 mentre sorbiva un caffè seduto ad un tavolino della storica caffetteria Gambrinus in piazza Trieste e Trento a Napoli.

Non una circostanza straordinaria perché scrivere di getto e nei luoghi più improbabili appartiene a molti i creativi.

I tavolini del Gambrinus poi sembravano dotati di un fascino particolare per i poeti. Infatti, per citarne due, Edoardo Nicolardi e Gabriele D’Annunzio su un tovagliolino vi scrissero rispettivamente Voce ‘e notte e ‘A vucchella.

La vera particolarità di Marechiare è che, contrariamente a quanto traspare dai versi, per il poeta si tratta di un luogo immaginario. Infatti quando li scrisse non era mai stato a Marechiaro. Le parole sono frutto della sua fantasia. 

 

L’oste racconta al poeta la genesi di ‘Marechiare’

 

Solo dopo molti anni Salvatore Di Giacomo “approdò” per caso a Marechiaro e su questa visita nacquero numerosi aneddoti. Il più accreditato è naturalmente quello raccontato dal poeta stesso nel 1894 sul Corriere di Napoli.

Dopo una gita in mare a bordo di un vaporetto dell’Acquario di Napoli, il poeta e i suoi amici decisero di fermarsi a pranzo in una trattoria che casualmente si trovava proprio a Marechiaro: Osteria “Fenestella”.

Il titolare evidentemente come faceva con tutti i clienti, raccontò la storia che secondo la sua versione avrebbe ispirato l’autore dei versi di Marechiare.

Spiegò con dovizia di particolari e relativo commento la genesi della lirica. Secondo la sua narrazione: il poeta venuto a pranzo nella sua osteria, rimasto colpito dalla famosa “fenestella”, dalla rosa e da… Carolina avrebbe deciso di mettere “tutto dint ’a na canzone”.

La ricostruzione dovette divertire non poco il poeta, che per la prima volta metteva piede nel luogo di cui aveva composto i versi… otto anni prima.   

 

Salvatore Di Giacomo deludente studente di Medicina

 

Salvatore Di Giacomo nacque a Napoli il 12 marzo 1860. Può essere considerato il più grande poeta napoletano. Ma senza dimenticare che fu anche eccellente novelliere, saggista e drammaturgo.

Nel 1875 conseguì la licenza presso il liceo classico Vittorio Emanuele II. Negli stessi anni in cui presso questo liceo si diplomava anche Nicola Zingarelli, l’autore del famoso vocabolario.  

Nonostante la poca convinzione, si iscrisse alla Facoltà di Medicina per accontentare il padre medico. Furono necessari tre anni per rendersi conto che tutto l’affetto che aveva per il padre non era sufficiente a farlo proseguire lungo quella strada.

Anche se probabilmente avrebbe continuato ancora questo suo calvario se non avesse assistito ad un episodio macabro sia pure con un risvolto comico.

Un episodio che avrebbe inserito con piacere nelle novelle horror, che scriverà in seguito, ma assolutamente devastante da vivere in prima persona.

 

Il capitombolo dell’avvinazzato Setaccio

 

Sarà lui stesso a raccontare l’intera vicenda in una pagina autobiografica. Aveva appena abbandonato la lezione di anatomia senza salutare nessuno, perché quello a cui assisteva gli rivoltava lo stomaco. Si stava avviando in fretta e furia verso la scaletta che portava all’uscita, quando:

«In cima il bidello si preparava a discendere, con in capo una tinozza di membra umane. I gradini della scaletta, su per i quali erano passate centinaia di scarpe gocciolanti, parevano insaponati. Il bidello scivolò, la tinozza – Dio mio! – la tinozza rovesciata sparse per la scala il suo contenuto e, in un attimo, tre o quattro teste mozze, inseguite da gambe sanguinanti, saltarono per la scala fino a’ miei piedi!».

All’orrore per quella scena disgustosa si sommò anche la rabbia nei confronti di quel maldestro inserviente: «dalla faccia butterata e cinica, dall’aria insolente, dalla voce sempre rauca, com’egli era sempre oscenamente avvinazzato, si chiamava Ferdinando. Per la faccia sua, cincischiata a quel modo, i compagni lo chiamavano, napoletanamente, Setaccio. Io devo la mia salvazione a Setaccio, perché da quel giorno la cantina dei cadaveri non mi vide più e nemmeno l’Università, dove compivo il terzo anno di medicina

 

Da mancato medico a giornalista, novelliere e grande poeta

 

Infatti, questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, o l’occasione che da tempo aspettava per giustificare la sua inadeguatezza alla professione medica.

Si avviò sulla strada che da sempre avrebbe voluto percorrere e iniziò la sua attività giornalistica. Era un momento di grande vivacità della pubblicistica napoletana.

Un continuo fiorire di giornali e pubblicazioni, tuttio di buon livello. Idee nuove e letterati di notevole valore che affiancavano valenti giornalisti e giovani promesse.

Tra questi anche Salvatore Di Giacomo, che nel 1882 grazie anche all’interesse di Matilde Serao e Eduardo Scarfoglio ottenne delle collaborazioni con diverse testate sia napoletane che romane.

Nello stesso anno approdò, come cronista e redattore, al Corriere del Mattino diretto da Martino Cafiero. E su quelle stesse pagine pubblicò alcune novelle che si rifacevano ai racconti di Edgar Allan Poe ed E.T.A. Hoffmann. Ambientate in una tetra e desolata città tedesca. Abitata da studenti maniacali e scienziati psicopatici il tutto condito con esoterismo e adorazione della morte.

Un genere, quello tedesco, che in quegli anni aveva un certo successo anche grazie alle opere della coppia Erckmann-Chatrian.

 

Cafiero dubita che le novelle di Salvatore Di Giacomo siano originali

 

Con queste novelle Di Giacomo riscosse un notevole favore di pubblico. Tanto che Martino Cafiero dubitò che le avesse scritte lui. Si convinse anzi, e con lui Francesco Verdinois, responsabile delle pagine letterarie e traduttore, che quella non fosse farina del suo sacco.

La loro ipotesi era che le avesse tradotte dal tedesco. Forse racconti dello stesso Poe. Per dimostrare l’autenticità dei suoi scritti Salvatore Di Giacomo dovette scriverne altre, che finalmente fugarono ogni dubbio. Al punto che Cafiero e Verdinois lo incoraggiarono a proseguire su quella strada.

Al contrario di Matilde Serao che gli consigliò di non cristallizzarsi su quel genere. Intanto sei di quelle novelle furono raccolte in un volume e pubblicate con il titolo di Pipa e boccale.

Le trame e il conseguente successo di questi racconti avevano una doppia matrice. Alla base la sua passione per quel genere di narrativa ma nella sostanza l’esperienza che lui maturava quotidianamente come cronista. Testimone di fatti di sangue e situazioni raccapriccianti.

Sempre nel 1882 iniziò la sua collaborazione con il Corriere di Napoli, della coppia Serao-Scarfoglio, come cronista giudiziario con lo pseudonimo di “Paglietta”.

Nel 1884 pubblicò la sua prima corposa raccolta di poesie con il titolo di Sonetti, tra i quali Lassammo fa’ a Dio, Zi’ Munacella, E cecate ’e Caravaggio, ’O Fùnneco, Doje de nuvembre.

 

La festa di Piedigrotta trent’anni di successi e una delusione

 

Salvatore Di Giacomo con i suoi versi ha contribuito a portare la canzone napoletana in ogni angolo del mondo. Marechiare ed Era de maggio sono delle poesie a cui è stata cucita addosso la musica. Ma non bisogna dimenticare  ’E spingole frangese, Palomma e notte, su tante altre.    

I suoi versi per trent’anni furono un susseguirsi di successi alla Festa di Piedigrotta ma anche un’occasione, da parte di una critica nazionale prevenuta, di ridurre la sua immagine di letterato a tutto tondo.

Infatti nel 1924 una proposta di Mussolini per il suo ingresso al Senato fu respinta perché “Piedigrotta non poteva entrare a Palazzo Madama”. Evidentemente vollero ignorare che Salvatore Di Giacomo, oltre ad essere autore per una famosissima festa popolare, era un grande poeta e un uomo di lettere di immenso valore.

Lo comprese bene invece Ugo Ojetti scrittore, giornalista e critico d’arte che proposto come senatore insieme a Di Giacomo vide accolta la sua nomina al Senato. Ojetti rifiutò la nomina perché sostenne che sarebbe “arrossito” al pensiero di entrare per censo dove solo perché povero non era potuto entrare un grande poeta.

Comunque, a parte la meschinità di quei senatori, forse bisogna anche considerare che all’epoca, con la fisima dell’italianizzazione i fascisti vietavano l’uso delle parole straniere e ostacolavano gli autori considerati dialettali.

Lo sperimentò sulla sua pelle anche Raffaele Viviani, che al culmine del successo vide precipitare tutto perché per il suo teatro dialettale non c’era spazio tra i “puristi” della lingua in camicia nera.

 

Il teatro di Salvatore Di Giacomo: Assunta Spina

 

A livello teatrale Assunta Spina è l’opera più significativa di Salvatore Di Giacomo. La rappresentazione debuttò trionfalmente nel 1909 al Teatro Nuovo. Dramma tratto dall’omonima novella. Due atti che narrano l’intricata vicenda che vede protagonista una donna difficile da inquadrare.

Assunta Spina ha una stireria. È una ragazza molto attraente a cui molti uomini fanno la corte. E un fidanzato geloso, Michele Boccadifuoco, che in un accesso d’ira la sfregia. Durante il processo Assunta cerca di salvare Michele negando quanto accaduto, ma inutilmente perché l’uomo confessa.

Gli danno due anni da scontare presso il carcere di Avellino, quindi per Assunta troppo distante perché possa incontrarlo durante il periodo della detenzione. Il cancelliere Funelli, però, si presta a farlo restare a Napoli purché Assunta ricambi sessualmente il favore. La donna accetta per vedere Michele due volte la settimana.

 

Lo strano rapporto tra Assunta e Michele

 

Tuttavia, non si capisce perché Assunta accetti questo ricatto per un rapporto, quello con Michele, fondato su una naturale attrazione ma non sull’amore. In altre parole, lei non sente nessun legame con il fidanzato.

Infatti, durante il periodo della reclusione di Michele, tra Funelli e Assunta nasce una relazione. La ragazza però ignora che il cancelliere ha una famiglia, e col tempo il loro rapporto si complica e poi si deteriora, fino all’allontanamento definitivo di Funelli.

Tuttavia Assunta lo convince ad andare da lei per un’ultima volta. Ignora però che Michele è stato scarcerato in anticipo e sta andando da lei per farle una sorpresa.

Ma Assunta nonostante si trovi colta sul fatto non perde la testa. Anzi intravede in questo imprevisto l’occasione di una terribile vendetta. Davanti all’amante, che l’ha rifiutata, confessa a Michele della sua relazione.

Questi nonostante la fresca esperienza del carcere, ferito nell’orgoglio e travolto dalla gelosia accoltella Funelli. Stavolta però Assunta riesce a salvare Michele, facendolo scappare e assumendosi lei la colpa dell’omicidio.

Nel 1948 Eduardo De Filippo sceneggiò e portò sul grande schermo Assunta Spina, interpretata da Anna Magnani.

 

Un’annosa polemica impedì a Eduardo di incontrare il poeta

 

Anche per Eduardo De Filippo, Salvatore Di Giacomo era un mito, l’unico tra i “grandi” che non riuscì ad incontrare personalmente.

Eduardo racconta che a quindici anni conobbe Libero Bovio che: «mi volle subito bene, e io a lui. La sua amicizia mi fu di grande incoraggiamento durante le mie esperienze. Avvicinai poi Roberto Bracco, Ferdinando Russo, Capurro, Viviani, Chiurazzi, Costagliola, E.A. Mario, Michele Galdieri e fui amico fraterno di Lorenzo Giusso. Purtroppo, l’unico nome che non mi è dato d’inserire tra gli scrittori che conobbi personalmente è quello di Salvatore Di Giacomo. Colpa mia? Colpa sua? Di nessuno dei due. Fu colpevole la dannata polemica che si accese, e che durò per anni, fra Eduardo Scarpetta e il gruppo di scrittori dialettali che si formò in difesa del Teatro d’arte, di cui Di Giacomo fu il più autorevole e accanito assertore. Guai a me, se mi fossi avvicinato al grande poeta! La controversia tra i due famosi litiganti mi fece vivere giorni di amarissimo smarrimento. Si trattava di una scelta: o mio padre o Di Giacomo. L’ammirazione e il rispetto che mi legavano a mio padre mi facevano mettere da parte Di Giacomo, mentre il fascino che esercitava su di me la poesia del Di Giacomo mi spingeva verso una via traversa.»

 

Alcune citazioni di Salvatore Di Giacomo

 

Nel giornalismo io sono non uno scrittore, ma uno scrivano. La mia fissazione è questa, che Napoli è una città disgraziata, in mano di gente senza ingegno e senza cuore e senza iniziativa.

Io racconto il mondo napoletano non come è veramente, ma come sembra.

Chi tene belli denare sempe conta, e chi tene bella mugliera sempe canta! Chi tiene molti soldi sempre conta, e chi tiene una bella moglie sempre canta. (E a proposito di denaro, si dice fosse piuttosto tirchio).

Il caffè, per acquaccia nera che sia, mi permette di studiare e di leggere fino a notte avanzata, e ciò mi fa bene, lasciandomi dimenticare, sviando il pensiero e interessandomi a qualche cosa fuori di me stesso.

(di Giacinto Gigante) Uno strano uomo: la sua casa era piena di colombi; spesso egli dipingeva con qualcuna delle innocenti bestiole appollaiate sugli omeri e spesso una grande lucertola verde gli veniva a mangiare le miche di pan fresco sulla tavola sparsa di colori, di pennelli, di disegni.

Infine una piccola curiosità. Il poeta annovera tra i suoi discendenti Gegè Di Giacomo, cantante e batterista di Renato Carosone.

© Riproduzione riservata 

 

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