la sirena Partenope
Storia di Napoli

Origini di Napoli: Partenope, Palepolis, Neapolis

Innumerevoli sono le versioni che hanno arricchito il patrimonio di leggende sulle origini di Napoli. Ma protagonista di tutte è sempre la mitica sirena Partenope.

Una di queste leggende si ricollega all’Odissea e a Ulisse che, con uno stratagemma, riuscì ad ascoltare il canto di seduzione delle sirene senza lasciarsi attrarre e schiantare sulle rocce della Baia di Salerno, dove erano annidate.

Queste sirene però, aldilà della bellezza e del canto melodioso erano delle vere arpie. Seduttrici e malefiche, erano tre sorelle. Una era Partenope, le altre Leucosia e Ligea. Presero molto male questa furbata.

Furiose per essere state beffate da un astuto mortale. La vendetta le avrebbe acquietate.  Ma era troppo tardi. Quindi  non potendo sopportare l’umiliazione si suicidarono lanciandosi da una rupe.

Il corpo di Partenope fu trascinato dalle onde sull’isolotto di Megaride, quello che accoglie l’attuale Castel dell’Ovo, e dalle sue spoglie nacque la città a cui fu dato il suo nome.  

 

Apolllo guida Partenope sulle nostre coste

 

Ma esiste anche una leggenda meno nota sulle origini di Napoli che sarebbe frammista a qualche connotazione storica. La fornisce Vittorio Gleijeses nel suo libro sulla storia di Napoli.

Apollo, grazie al volo spiegato di una colomba, avrebbe indirizzato verso il nostro litorale una graziosa fanciulla. Con lo strano nome di Partenope, era la figlia di Eumelo, re di Tessaglia.

L’etimologia Partenope è costituito da due vocaboli. Dal greco «Partenu-Opsis» che in latino diventa «virginis visus» ovvero “quella che sembra una vergine”.

La fanciulla sarebbe morta subito dopo essere approdata sulle nostre spiagge. E le stesse genti del luogo avrebbero provveduto a seppellirla. In onore di Partenope avrebbero costruito un sepolcro davanti al quale ogni anno si svolgevano feste e giochi ginnici.

 

Tra Castel dell’Ovo e Pizzofalcone

 

Confortata invece da concrete testimonianze storiche l’esistenza della città di Partenope, fondata dai Cumani nel 680 a.C., nell’area compresa tra l’isolotto di Megaride e il Monte Echia.

Cioè nell’area attualmente compresa tra Castel dell’Ovo e Pizzofalcone, come conferma una necropoli scoperta nell’attuale via Nicotera. 

Non si esclude però che le origini di Napoli risalgano alla prima colonizzazione sulle nostre coste, circa 3000 anni fa, di coloni eubei provenienti da Rodi. Erano mercanti e fondarono un piccolo e strategico scalo commerciale per le loro attività. 

Inizialmente questo scalo era Pithecusa, l’attuale isola d’Ischia. Successivamente Cuma (Kyme). E proprio i Cumani, come già detto, fondarono, nel V secolo a.C., Parthenope.

La nuova città avrebbe raggiunto una posizione di grande rilievo. Tale però da suscitare l’invidia e la preoccupazione dei suoi stessi fondatori che pensarono bene di distruggerla. Una storia che convince poco.

Più credibile la versione secondo la quale Palepolis, indebolita e decaduta a causa di lotte interne fu distrutta dagli Etruschi.  E proprio i Cumani nel 474 a.C., sconfissero definitivamente gli Etruschi e rifondarono Partenope.

La chiamarono Neapolis (città nuova) in contrapposizione a Palepolis (città vecchia che si trovava a Pizzofalcone). In concreto, nel 438 a.C., le due città distavano 4-5 chilometri e costituivano una sola polis.

 

Le origini di Napoli e il responso dell’oracolo

 

Sulla rifondazione di Partenope da parte dei Cumani esiste anche una versione più leggendaria. Cioè che dopo la distruzione di Partenope, su Cuma si abbatté una grave carestia

I suoi capi, dopo aver consultato l’oracolo, avrebbero deciso di ricostruire la città e ripristinare il culto della sirena.

Palepolis con il passare del tempo diventò un luogo periferico e appartato. I nobili vi edificarono lussuose ville, lontane dal frastuono dei traffici del centro urbano.

In seguito, l’intera area di Palepolis venne racchiusa in un’immensa villa, di proprietà del patrizio Lucullo. I resti sono ancora visibili sulla sommità di Pizzofalcone

I Cumani trasformarono Neapolis in una vera roccaforte cingendola di imponenti mura di tufo. Furono edificate utilizzando tecniche costruttive tra le più avanzate dell’epoca. E furono rinforzate ancora nel secolo successivo.

Resti di queste mura si trovano sparse un po’ per l’intera città. Via Foria, Piazza Bellini, via Mezzocannone, Corso Umberto e via Duomo. Da questi ritrovamenti gli studiosi hanno potuto ricostruire il perimetro urbano dell’epoca.

 

Le origini di Napoli e l’estensione territoriale

 

La città si estendeva a nord tra via Foria e Piazza Cavour per poi scendere lungo via San Giovanni a Carbonara fino ad arrivare al mare. Dopo piazza Calenda le mure avevano bisogno anche di difese naturali per cui attraverso la collina di Monterone e quella di Sant’Agostino risaliva per via Mezzocannone.

Quello che conferma “oltre ogni ragionevole dubbio” le origini elleniche della città è il tracciato viario.

Tre decumani tagliano il centro storico. Sono conosciuti rispettivamente come decumano dell’Anticaglia, dei Tribunali e di Forcella. Queste arterie principali sono intersecate da una fitta rete di cardini, stretti vicoletti.

Tuttavia, se le origini di questa rete viaria non lasciano dubbi bisogna osservare che i termini utilizzati non sono corretti. Sono riferiti al sistema viario romano quindi successivo e diverso.

Utilizzando i termini giusti, i cosiddetti decumani ellenici sono in pratica i “plateiai”, direttrici principali larghe sei metri. I cardini sono invece gli “stenopoi” vicoli larghi tre metri

 

La Campania entra nell’orbita romana

 

Nel 325 a.C., nonostante l’alleanza tra Nola e Cuma, il tentativo di fermare l’esercito romano fallì. E i Romani allargarono i loro confini anche in Campania.

Il loro atteggiamento non fu però uguale verso tutte le popolazioni. Comprensibilmente duro verso i Sanniti che avevano scelta l’alleanza con Annibale e li avevano combattuti.

Al contrario massima disponibilità e rispetto nei confronti di Neapolis.

Nel V secolo la popolazione della città era di circa 30mila abitanti e la lingua parlata e scritta era quella greca.

All’epoca, e nei secoli successivi, la tradizione culturale greca rimase ben salda a Napoli. Una cultura che determinò un grande rispetto da parte del mondo romano.

Proprio Roma, riscontrando la posizione strategica di Neapolis sul mare, la pose al centro delle proprie attenzioni. E le concesse ampia autonomia e attribuendole il ruolo di “civitas foederata“.

 

Neapolis cresce grazie alla protezione di Roma

 

La condizione garantì ai napoletani ampia libertà e limitò le incombenze alla sola fornitura di armi e marinai in caso di guerra.

Per Neapolis questa situazione risultò particolarmente vantaggiosa perché grazie alla protezione di Roma poté ampliare il suo porto.

Vide fiorire i traffici marittimi, aumentò la lavorazione delle ceramiche. Ma soprattutto attivò a pieno ritmo la sua famosa zecca che cominciò a coniare monete anche per conto di Roma.

Nell’89 a.C. Neapolis ricevette la cittadinanza romana diventando, di fatto, municipio romano. La lingua latina cominciò a diffondersi rapidamente, ma il greco rimase ancora l’idioma più in voga.

In realtà Neapolis per molti secoli restò una città bilingue, con una forte influenza della cultura greca. 

 

Ripercussioni delle alleanze sbagliate

 

Nell’82 a.C., scoppiò la guerra civile che contrappose Mario a Silla. Neapolis purtroppo si schierò dalla parte sbagliata.

Silla dopo la sua vittoria punì pesantemente la città. Confiscò la flotta ed eliminò economicamente e fisicamente il ceto mercantile con il metodo delle proscrizioni. 

Il porto militare venne dislocato a Miseno. Neapolis fu privata del possesso di Pithecusa (Ischia) e del ruolo guida nel campo commerciale. 

Di conseguenza capitali e attività imprenditoriali lentamente si spostarono a Puteoli (Pozzuoli) che diventò il centro commerciale della zona. Per Neapolis iniziò una lenta decadenza. 

Tutt’altra storia era però il profilo culturale. La città rimase ben viva. Era la meta preferita e il punto di riferimento dell’intera “intellighenzia” romana. Le era riconosciuto il ruolo di depositaria del patrimonio culturale ellenico e delle sue tradizioni.

I Patrizi romani erano attratti dalle bellezze naturali e climatiche. Venne definita città oziosa ma nell’accezione romana dove “otioso” non aveva un significato negativo.

Era, al contrario, il termine usato per indicare tutto ciò che era contrapposto all’agire fisico e produttivo. “Otiosa” era, dunque, anche la filosofia e la poesia che fiorirono a Neapolis più che in ogni altra città dell’Impero.

 

Nerone con le sue rime fa tremare Napoli

 

La poesia si sviluppò a tal punto da invogliare Virgilio a risiedere per lungo tempo in una villa fuori città. L’importanza culturale di Neapolis attirò persino Nerone che nel 65 d.C., giunse a Neapolis, con un grande seguito, per esibirsi nei famosi teatri della città.

Non sappiamo quanto successo ottenne con le sue “performance”. Sappiamo però per certo che al termine di una sua rappresentazione una violenta scossa di terremoto distrusse parte del teatro in cui si era esibito. 

In realtà Neapolis ospitava i teatri più importanti dell’epoca. Primo fra tutti l’Odeion. Un teatro chiuso destinato prevalentemente a manifestazioni musicali.

Dell’Odeion non esistono più tracce ma si sa che sorgeva accanto al famoso Teatro Romano dell’Anticaglia i cui resti sono ancora visibili nel centro storico di Napoli.

Questo dell’Anticaglia era un teatro aperto con una cavea che poteva contenere 5-6000 spettatori. Ospitava solo rappresentazioni teatrali. È possibile accedere al sito attraverso la casa di un privato sita in via Cinquesanti.

 

Il teatro attinge alle tradizioni della Magna Grecia

 

Il teatro napoletano dell’epoca non era un esempio di raffinatezza. In massima parte aveva radici molto antiche, risalenti alla Magna Grecia.

Emblematiche sono le Favole atellane. Farse smodate e buffonesche con una sboccata vis comica.

La fama di alcuni personaggi di queste farse è arrivata fino a noi. Tra questi Macco, Bucco, Pappo e Dossennus.

In un certo senso possono essere considerati i precursori delle maschere della Commedia dell’Arte del XVI secolo.

Macco, in particolare, è ritenuto l’antesignano di Pulcinella. Le due maschere hanno una indubbia somiglianza nei tratti, ma nascondono caratteri agli antipodi.

Macco è uno sciocco e per questo spesso deriso. Pulcinella, come ben sappiamo, è il furbo approfittatore per eccellenza. Nel bene e nel male è ritenuto il simbolo stereotipato della napoletanità.

 

Neapolis crocevia di culture diverse

 

Neapolis nonostante il ruolo portuale di secondo piano assunto dopo aver ceduto giocoforza la prevalenza a Puteoli, diventò crocevia di razze e culture differenti.

Fiorirono le comunità orientali, come quella alessandrina testimoniata anche dalla statua del dio Nilo, venerato appunto dagli alessandrini, e situata in quello che oggi è il Largo Corpo di Napoli in pieno Centro storico.

Nella Neapolis dell’età imperiale cominciarono a diffondersi numerose religioni. Ma ben presto, nonostante le persecuzioni, il Cristianesimo prese il sopravvento sulle altre. Il primo vescovo napoletano fu Aspreno che visse durante l’impero di Traiano tra il primo e il secondo secolo d.C.

 

Foto: Stefan Keller

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