Vincenzo russo
Personaggi storici

Vincenzo Russo, poeta di un amore senza speranza

Dai versi di I’ te vurria vasà e Maria Marì emerge il tormento di un amore impossibile. Quello tra Vincenzo Russo ed Enrichetta Marchese, figlia di un gioielliere. A dividerli era un abisso sociale. Ma non solo. 

Per inciso però dobbiamo dire che la donna amata da Vincenzo potrebbe non essere Enrichetta. Ma questo lo vedremo in seguito.

Vincenzo Russo nacque a Napoli il 18 marzo 1876, primogenito di sei fratelli, in una famiglia molto umile. Il padre Giuseppe era ciabattino.  La madre Lucia Ocubra, appena nata, era stata abbandonata nella Ruota dell’Annunziata. E come risulta dal Libro delle Immissioni proveniva da Portici.

Vincenzo aiutava il padre nella bottega, ma dopo la sua prematura morte fu costretto ad accollarsi tutto il peso della casa.

La madre casalinga dovette a sua volta reinventarsi per tirare avanti la famiglia. Gli altri cinque figli erano troppo piccoli per contribuire alle spese.

 

Vincenzo dalla bottega alla fabbrica

 

Le condizioni economiche si aggravarono ulteriormente. La casa umida e fatiscente risultò deleteria per la salute dei ragazzi. Vincenzo pagherà più degli altri queste condizioni di vita.

Ovviamente in una situazione del genere era inimmaginabile un percorso di studi regolari. Ma in Vincenzo se il fisico era debole, la forza di volontà era ferrea. Non volle arrendersi all’ignoranza.

Dopo la giornata di lavoro in bottega prese a frequentare dei corsi serali per operai, durante i quali emerse la sua predisposizione alla poesia. Questo suo talento fu riconosciuto da un suo insegnante che lo spronò a coltivare la sua attitudine.

Vincenzo seguì il suo consiglio ma purtroppo le cose presero una brutta piega.  La pratica fatta con il padre, non gli aveva fornito la necessaria padronanza del mestiere. Certamente non quella per portare avanti da solo l’attività. Dovette dirottare su un’altra via.

Trovò lavoro come apprendista guantaio nella bottega dei fratelli Partito e di conseguenza sembrò dover dire addio ai suoi sogni letterari. Ma non fu così.

 

La ferrea volontà di Vincenzo Russo

 

Vincenzo Russo
Vincenzo Russo.

Infatti, nonostante la supponenza dei detrattori proseguì per la sua strada. Con grande determinazione continuò a seguire i corsi serali. La sua meta era il raggiungimento di un livello culturale che gli consentisse di ben figurare negli ambienti letterari.

Le pessime condizioni di salute non gli impedirono di passare intere notti a scrivere versi e canzoni.

L’aspetto malaticcio conseguente al suo stato fisico paradossalmente rappresentò anche la sua fortuna. 

Gli fece acquisire la fama di “assistito”. L’assistito era un personaggio a cui veniva attribuita la capacità di indovinare i numeri da giocare al Lotto.

Una notorietà che condusse a lui Eduardo Di Capua. Il maestro che aveva composto, sulle parole di Giovanni Capurro, la canzone napoletana più famosa nel mondo: ’O sole mio.

 

L’incontro con Eduardo Di Capua

 

Eduardo Di Capua
Eduardo Di Capua

Di Capua era un accanito giocatore e si avvicinò a Vincenzino con il solo interesse di ottenere i numeri da giocare al Lotto.

Qualcuno sostiene che questa fama è una delle tante maldicenze messe in giro dai denigratori del poeta. Del resto, i fatti stessi dimostrano che era infondata. Infatti, con una facoltà del genere, Russo non sarebbe vissuto e morto in miseria, come è avvenuto.

E di certo non fu utile neanche a Eduardo Di Capua che sotto il profilo finanziario non stava messo meglio, nonostante la fama e il successo. 

Il maestro aldilà delle motivazioni che lo avevano spinto ad avvicinarlo rimase affascinato dai versi di Russo che all’epoca aveva 23 anni. E si avviò quel fortunato sodalizio artistico che sarebbe proseguito fino alla morte di Vincenzino, appena 5 anni dopo.

Dalla loro collaborazione nacquero tre delle più belle e famose canzoni napoletane: I’ te vurria vasàMaria Marì e Torna Maggio.

 

Amore segreto e sguardi furtivi

 

Quello di Vincenzo per Enrichetta era nella sostanza un amore segreto perché, nonostante ne fosse innamorato da sempre non glielo manifestò mai apertamente. Forse non solo per le differenti condizioni sociali come si potrebbe immaginare.

Infatti, per quanto i genitori della ragazza osteggiassero quel rapporto prima ancora che si concretizzasse, Enrichetta ricambiava i sentimenti del giovanotto. È non mancava mai di lanciargli delle occhiate furtive quando passava in calesse davanti alla bottega dove Vincenzo era al lavoro.

La causa vera che spinse Russo a non dichiarare il suo amore a Enrichetta furono le sue condizioni di salute.

Anche se come abbiamo detto il nome della musa ispiratrice di Vincenzo potrebbe non essere Enrichetta.

 

Qual è il vero nome dell’amata di Vincenzo Russo?

 

Secondo Luciano De Crescenzo questa ragazza si chiamava Maria. Lo racconta nella sua autobiografia “Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo”.

Il padre del compianto Luciano vista la scarsa propensione allo studio fu mandato ad imparare un mestiere. E capitò come apprendista nella fabbrica di guanti dei fratelli Partito.

Nello stesso periodo durante il quale lavorava Vincenzo Russo. I due diventarono amici e il De Crescenzo senior ebbe modo di capire chi fosse la ragazza per cui aveva perso la testa il poeta.

Russo lavorava all’esterno della fabbrica perché i titolari in considerazione dei suoi problemi polmonari volevano evitargli di inalare sostanze nocive.

 

Il padre di Luciano De Crescenzo e l’amico Vincenzo

 

Quindi, Luciano scrive: «Cenzino non avrebbe potuto chiedere di meglio: proprio di fronte all’ingresso della fabbrica, in un appartamentino al terzo piano, abitava una certa Maria, una ragazza dai capelli neri di cui lui si era perdutamente innamorato. Gli abitanti di via San Giuseppe, si abituarono ben presto a vederlo, ogni mattina, curvo sul banchetto di tagliatore, che un po’ sagomava pelli di capretto e un po’ inviava canzoni appassionate all’indirizzo della bella Maria. A sentire papà, la ragazza non si affacciò mai, e così facendo non ebbe nemmeno modo di rendersi conto che, di lì a qualche anno, sarebbe diventata la Maria più famosa del mondo (subito dopo la Madonna). La canzone, infatti, era la bellissima Oi Marì.»

Tuttavia, secondo un’altra versione ancora la Maria della canzone era Rosina Gambardella. A testimoniarlo è la pronipote di Rosina, Ausilia Barone a cui è stata raccontata dalla madre Anna Partito. Quindi una parente dei titolari della ditta di guanti dove lavorava Russo.

 

Enrichetta diventa Maria, poi Rosa Gambardella

 

Ausilia conferma quanto detto da De Crescenzo ma sostiene che il padre ricordava male il nome proprio perché ingannato dalla canzone: Maria Marì. E fu lo stesso Luciano a rimettere le cose in ordine.

Nel 1992, intervistato da Pippo Baudo nella trasmissione Serata d’onore, raccontò che uno dei fratelli Partito chiese al padre, chi fosse questa Rosa, che tanto sonno toglieva al suo operaio.

Il titolare incuriosito era Taddeo Partito. Rimase a sua volta fulminato da Rosa, che sposò due anni dopo la morte di Vincenzino. La coppia ebbe due figli, uno dei quali, Eugenio, era il nonno di Ausilia Barone. Rosa morì giovanissima, a 33 anni.

Comunque, che fosse Rosina, Maria o Enrichetta, Russo conosceva bene la gravità della sua malattia polmonare, e sapeva che molto presto lo avrebbe condotto alla morte. E non si sbagliava, morì ad appena 28 anni.

Ma prima di morire, negli ultimi giorni di vita, ormai logorato dalla tubercolosi ebbe la forza di dettare al cognato uno straziante epilogo della sua esistenza: L’urdema canzona mia.

 

L’ultima canzone di Vincenzo Russo

 

Secondo la leggenda il testo fu scritto mentre osservava alla finestra la chiesa dove stava per sposarsi la sua amata. Si tratta di un’ipotesi molto romanzata e per niente confortata dai fatti.

Ritornando nel mondo reale il testo fu consegnato a Eduardo Di Capua per essere musicato. Poi il maestro, secondo le volontà di Russo, lo avrebbe consegnato a Enrichetta che lo racchiuse in un medaglione e lo conservò sino alla sua morte.

Quest’ultimo particolare non compare nella versione che ipotizza Rosa Gambardella come musa ispiratrice.

Infine una curiosità “indiziaria”. Vincenzo Russo pubblicò appena sette canzoni. Tra cui tre famose in tutto il mondo. E in cinque compare la parola rosa

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