Teca sangue San Gennaro
Tradizioni

San Gennaro: storia, leggenda e… terza ampolla

Che sia storia, mito o leggenda per i Napoletani non fa differenza: San Gennaro non è argomento di discussione.

Che la liquefazione del sangue contenuto nelle due ampolline (divenute nel frattempo tre) sia prodigio o miracolo poco importa. Anche se la differenza è notevole.

Le date fisse durante le quali si ripete lo scioglimento del sangue si ritiene abbiamo una correlazione specifica. La data della traslazione delle ossa a Napoli. Quella del martirio. E quella corrispondente alla terribile eruzione del Vesuvio del 1631. Nell’occasione, la statua di San Gennaro portata al Ponte della Maddalena, fermò la lava prima che distruggesse la città.

Comunque queste date, leggende a parte, sono:

Il sabato precedente la prima domenica di maggio, con la solenne processione del busto di San Gennaro e delle ampolle dal Duomo alla Basilica di Santa Chiara, in piazza del Gesù

Il 19 settembre, nel giorno della solennità del Santo.

16 dicembre, giorno del miracolo laico, vale a dire quello con cui fermò la lava del Vesuvio nel 1631. 

 

San Gennaro fa parte della napoletanità. Dell’anima della città e del suo Dna. Dello spirito e della forza di reagire alle tante vicissitudini che ne hanno caratterizzato la storia.

 

san gennaro - duomo di napoli
Duomo di Napoli

 

Dal 1980, san Gennaro ufficialmente patrono di Napoli

 

Dal 1980 è ufficialmente il patrono di Napoli, nominato da Giovanni Paolo II. Primo di una lunga sfilza di ben 52 santi protettori.

Eppure in precedenza la Chiesa, con la riforma liturgica del 1969, gli aveva spento l’aureola della santità. Per mancanza di certezza storiche sulla sua esistenza. E di conseguenza, in senso letterale, lo aveva “cancellato dal calendario”.  

Per i napoletani fu un duro colpo e non la presero per niente bene. I vescovi e i teologi che avevano tratto quelle conclusioni evidentemente avevano sottovalutato la tempesta che avrebbero scatenato contro il Vaticano.

Il popolo partenopeo e la Curia di Napoli stessa insorsero. Una reazione prevedibile conoscendo l’affetto dei napoletani per il Santo.

La Santa Sede dovette ritornare sui suoi passi. Ma non potendo smentire del tutto la Congregazione decise sì di rifarlo santo, ma santo di serie B. Con venerazione solo locale: in Campania.

Un’emarginazione inutile: i follower di san Gennaro sono in massima parte napoletani ma distribuiti in ogni parte del mondo.

 

Prove storiche e fantasie agiografiche

 

Tra l’altro su queste presunte prove storicamente accertate ci sarebbero tante considerazioni da fare. Lungi da noi l’intenzione di sindacare l’operato di una commissione di tanta scienza, non si può fare a meno di notare alcune incongruenze.

San Gennaro è vissuto, o sarebbe vissuto, all’inizio del IV secolo. Il nostro egocentrismo ci porta a credere che all’epoca il Cristianesimo avesse una grande visibilità. E fosse temuto dagli imperatori perché ritenuto portatore di un pericoloso pensiero sovversivo.

Ma in pratica dalle cronache dell’epoca risulta che i Cristiani erano considerati poco più di una setta. Le uniche attenzioni che i potenti di allora avevano per loro erano farli fuori.

Sia quando avevano bisogno di capri espiatori che quando li sospettavano di essere dei sobillatori. Dovevano nascondersi per sopravvivere quindi è poco probabile che stendessero con tanta facilità atti da tramandare ai posteri.

Di conseguenza, è così strano che non esistano documenti incontestabili di quel periodo? È molto più strano che vengano dati particolari storici molto dettagliati per tanti altri santi e martiri delle origini.

Bisogna dire che il più delle volte fanno fede dei documenti agiografici, quindi una letteratura che tende ad enfatizzare la vita e le opere dei santi. Spesso citando eventi e situazioni che solo la fede può accettare.

 

Il giovane san Gennaro: patrizio e plebeo?

 

Per lo stesso san Gennaro le poche notizie che abbiamo della sua vita, sono state ricavate proprio da alcune opere agiografiche.

In primo luogo dagli Atti bolognesi e dagli Atti vaticani. Risalenti entrambi al VI-VII secolo. Quindi redatti a distanza di 3-4 secoli dalla decapitazione del santo e dei suoi malcapitati compagni.

La città natale è da ritenersi sconosciuta. Anche se almeno tre se ne contendono il privilegio. Benevento perché lo aveva avuto come vescovo.

Napoli come città in cui si era manifestato per la prima volta il miracolo dello scioglimento del sangue.

E infine Calafatoni, uno sperduto villaggio nella provincia di Vibo Valentia. Quello che molto più probabilmente gli diede i natali.

Il suo nome era Procolo e faceva parte della famiglia gentilizia della Gens Januaria.

Ma secondo un’altra versione, la sua era una famiglia molto povera. La madre morì quando era ancora piccolo. Il padre risposatosi gli trovò un’occupazione come guardiano di maiali.

E chissà ancora per quanto tempo avrebbe sorvegliato maiali se non avesse incontrato un monaco eremita che con i suoi insegnamenti segnò la svolta fondamentale della sua vita.

 

Il viaggio verso il martirio

  

All’inizio del IV secolo, nel periodo delle persecuzioni di Diocleziano, Gennaro era vescovo di Benevento.

Per esigenze pastorali lasciò la sede sannita, insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo, diretto a Pozzuoli.

Scopo del pellegrinaggio era incontrare il vescovo di Miseno e la comunità cristiana del luogo. All’epoca questi incontri erano molto frequenti. Un’occasione per confrontarsi e discutere sulle questioni della fede.

Ma anche alla ricerca di una vita spericolata. Infatti con tanti luoghi tranquilli dove incontrarsi scelsero Miseno. Ad un tiro di schioppo da Cuma. Vale a dire dall’antro della Sibilla, luogo di pellegrinaggio dei pagani, classe dominante e poco propensa ad una pacifica coesistenza con i convenuti.

 

Il diacono Sossio e la fiammella da martire

 

Sin dalla partenza da Benevento questo viaggio non si presentò sotto i migliori auspici. Il diacono Sossio grande amico di Gennaro mentre raggiungeva a sua volta il luogo dell’incontro, fu arrestato e incarcerato per ordine del governatore della Campania Dragonzio.

Appresa la notizia Gennaro dovette rendersi conto che si stava realizzando una sua premonizione. Infatti, durante una funzione religiosa aveva visto comparire una fiammella sulla testa del diacono Sossio.

Era corso ad abbracciarlo, a baciarlo in testa e, pieno di entusiasmo, a comunicargli la “lieta novella”: sarebbe diventato martire.

In ogni caso, mentre proseguivano nel loro viaggio tutte le notizie che arrivavano da Miseno riferivano che da quelle parti non tirava una buona aria per i Cristiani.

Il vescovo Ianuario, come si chiamava allora, non si lasciò intimidire. Non ebbe paura di sfidare la morte benché sapesse già come si sarebbe conclusa la sfida.

E senza por tempo in mezzo, insieme ai compagni di viaggio, si recò a far visita in carcere al diacono Sossio.

Mossa già di per sé avventata. Ma che si rivelò suicida quando insieme alla richiesta di clemenza per il prigioniero fecero anche professione di fede. Cristiana ovviamente.

Ma altrettanto ovviamente furono arrestati e incarcerati in attesa di finire in pasto alle belve nell’anfiteatro di Pozzuoli.

 

San Gennaro fa inginocchiare le belve

 

A partire da questo momento la fantasia popolare si sbizzarrisce. Fioccano le diverse leggende.

Secondo alcuni, una sorta di sommossa a favore dei condannati fece sospendere il supplizio all’anfiteatro.

Ma un’altra versione racconta che dopo una benedizione di San Gennaro le belve che stavano per avventarsi sui martiri per sbranarli si inchinarono davanti a loro.

Dragonzio colpito da questo miracolo avrebbe deciso di sottrarli alle fauci delle belve per cui li fece condurre nella Solfatara di Pozzuoli, all’epoca Forum vulcani, e decapitare.

Esecuzione avvenuta, secondo gli Atti bolognesi e alcuni documenti liturgici, il 19 settembre del 305. Il sangue di san Gennaro, secondo un’usanza dell’epoca fu raccolto da una donna, Eusebia, che lo conservò in due ampolle. Le conservo quindi nella sua casa, ad Antignano.

 

Il lungo peregrinare del corpo di San Gennaro

 

Il corpo del Santo fu seppellito nell’Agro Marciano, una località che si suppone situata tra Agnano e Pianura. E vi rimase per circa un secolo.

Vale a dire fino a quando nella prima, metà del ’400, il vescovo Giovanni I le fece traslare nelle attuali Catacombe di San Gennaro.

Ma questo fu solo l’inizio di un lungo peregrinare. Nell’831 il principe di Benevento, Sicone I, dopo aver assediato Napoli si impadronì della reliquia e la trasportò nella sua città.

Nel Sannio vi rimase fino 1154 quando Guglielmo il Malo, re normanno della Sicilia, che all’epoca era un regno che comprendeva l’intera Italia meridionale più Abruzzo e Molise, ritenne che quel luogo non fosse più sicuro. Temeva che la reliquia potesse essere trafugata per cui la fece traferire nell’abbazia di Montevergine.

In questo convento San Gennaro si ritrovò in un ruolo di comprimario. Infatti le divinità celebrate dai pellegrini che giungevano all’abbazia erano san Girolamo e una Madonna detta Mamma Schiavona.

Il re normanno non avrebbe potuto scegliere posto migliore per garantire la sicurezza dei resti di san Gennaro. Con il passare degli anni e con l’assenza del culto fu dimenticato persino il luogo dove le ossa erano state sepolte.

 

San Gennaro ritorna a Napoli dopo un millennio

 

Al contrario a Napoli nonostante l’assenza del corpo non era mai svanita la devozione per san Gennaro e venivano venerate le reliquie rimaste: le ampolline col sangue e il capo.

Fu il cardinale Giovanni d’Aragona nel 1497 a ritrovare le ossa situate sotto l’altare maggiore a Montevergine.

Ma servì la potenza dei Carafa per trasferirle a Napoli. L’arcivescovo Alessandro e il fratello Oliviero dovettero sconfiggere la ferma opposizione dei monaci ma alla fine la spuntarono.

Le ampolline con il sangue raccolto da Eusebia come tutti sanno sono conservate in una teca nel Duomo di Napoli. Delle due, una è piena per tre quarti, l’altra è quasi vuota.

Infatti la parte mancante fu sottratta da Carlo III di Borbone quando lasciò Napoli per trasferirsi sul trono di Spagna. Era il 1759 e di fatto diede vita ad una terza ampollina di cui si sono perse le tracce.

A meno che non sia quella ritrovata presso il Complesso dei padri Vincenziani del borgo dei Vergini nel rione Sanità, a Napoli.

 

Il mistero della terza ampolla

 

La scoperta è stata fatta nel 2016 da Giovanna Moresco, vicepresidente dell’associazione GettalaRete, insieme alla presidente Annamaria Corallo.

Erano impegnate nella risistemazione della Cappella delle reliquie quando hanno trovato l’ampolla e un atto che ne garantiva l’autenticità.

Questo documento firmato dal vescovo di Ferentino e datato 1793 e testimonia la donazione ai padri della Congregazione della missione di Napoli.

A rigor di logica questa ampolla per essere autentica deve contenere il sangue “sottratto” da Carlo III. Infatti le ampolline sono da sempre solo due quindi la terza o contiene il sangue trafugato o è un falso.

Per chiudere questo cerchio manca solo un documento che spieghi come sia finito nel Frusinate una reliquia che era stata portata in Spagna e conservata, pare, nel monastero dell’Escorial.

 

Prodigio, miracolo o superstizione popolare?

 

La Chiesa non considera miracolo la liquefazione del sangue di San Gennaro ma “prodigio”. Un machiavellismo semantico?

È chiaro che la Chiesa non crede nella genuinità di questo fenomeno. Allora non sarebbe più semplice etichettarlo come fenomeno di superstizione popolare?

No! Perché potrebbe creare una situazione paradossale. Come ad esempio lo svolgimento di un finto evento mistico nel Duomo e con il Cardinale a dirigere le operazioni.

Per la Chiesa la differenza tra miracolo e prodigio non è da poco. Il miracolo può essere solo di natura divina.

Il prodigio è un evento simile al miracolo ma la sua origine non è certa. Potrebbe essere un fatto semplicemente inspiegabile. Ma potrebbe essere persino di natura demoniaca.

Comunque sia, per i fedeli e nel parlare comune quella liquefazione continua ad essere identificata come il “miracolo di San Gennaro”. Il vero problema, secondo il sentire popolare, è quando quel sangue non si scioglie.

 

Mancata liquefazione ed eventi nefasti

 

Il primo documento storico in cui si parla di questo prodigio risale al Trecento, ed è riportato sulle pagine della Cronaca siciliana.  Quando il cosiddetto “miracolo” non avviene si trasforma veramente in “prodigio” nel suo significato originale. Cioè segno di ira divina e preannuncio di eventi nefasti.

Esiste una casistica sulle ipotetiche correlazioni tra mancato prodigio e sciagure conseguenti.

Tra le date più ricordate:

settembre del 1939 e del 1940. Nel primo caso, in coincidenza con l’inizio della seconda guerra mondiale. Nell’altro con l’entrata dell’Italia nel conflitto;

settembre del 1943, data dell’occupazione dell’Italia da parte dei Nazisti;

settembre del 1973, quando a Napoli ci fu l’epidemia di colera. E ancora settembre del 1980, anno del terremoto in Irpinia.

Questi sono soltanto gli eventi più recenti ma anche in passato le conseguenze nefaste seguite al mancato evento sono numerose: guerre, pestilenze, eruzioni, carestie.

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