pastiera napoletana
Tradizioni

La pastiera napoletana: storia, leggenda e antica ricetta

L’agnello, la colomba e l’uovo sono simboli universali della Pasqua cristiana. Ma pari dignità meritano anche la pastiera, il casatiello, la torta pasqualina, le pardulas sarde. Insieme a tante altre prelibatezze che rappresentano dolci emblematici della Pasqua nelle varie regione d’Italia.

Ma la pastiera napoletana è qualcosa di più del tipico dolce regionale perché nelle sue numerose versioni viene replicata in tutt’Italia. Nelle stesse famiglie napoletane la ricetta classica viene modificata con una certa fantasia.

Anzi si potrebbe dire che esistono delle vere e proprie scuole di pensiero sulla realizzazione di questo dolce. In qualche caso non si tratta di semplici sfumature perché la differenza tra una ricetta e l’altra comporta risultati molto differenti.

A cominciare dalla consistenza della farcitura che può essere più o meno compatta. Quindi alle diverse tecniche di preparazione e di cottura e per finire all’aggiunta o l’eliminazione di qualche ingrediente. Nell’aspetto è molto simile ad una crostata. Striscioline comprese.

 

Le origini divine della pastiera

 

Secondo la leggenda la pastiera fu amalgamata dagli dei con i doni del popolo di Neapolis alla sirena Partenope. Infatti, come è noto, la sirena Partenope scelse il golfo di Napoli e come sua dimora l’isolotto di Megaride, dove adesso sorge il Castel dell’Ovo. Da quegli scogli il suo canto meraviglioso estasiava la città di Neapolis e tutti coloro che circolavano nelle vicinanze.

I napoletani gli erano molto riconoscenti per questo canto melodioso di cui potevano godere e vollero dimostrare la loro gratitudine donandole dei prodotti preziosi nella loro vita quotidiana.

 

Sette fanciulle per sette regali

 

Tra i villaggi di Neapolis, scelsero sette tra le più belle fanciulle e le incaricarono di consegnare sette doni, ognuno dei quali con una propria rappresentazione simbolica:

  • La farina: come ricchezza che proviene dalla campagna. Simboleggia il ciclo delle rinascite. Il cereale che prima di nascere in primavera resta sepolto sotto terra. Quindi l’analogia del passaggio dell’anima dall’ombra alla luce. 

  • La ricotta: offerta dei pastori. È il più umile prodotto della lavorazione del latte. Per il mondo arcadico il rapporto uomo-natura più autentico. 

  • Le uova: simbolo della fertilità e dell’eterno e quindi inesauribile ritorno della vita. Presso i greci era il dono scambiato in occasione delle feste primaverili

  • Il grano cotto nel latte: simbolo della fusione tra i regni animale e vegetale della natura. Della  vita che sboccia e si rafforza nel primo alimento della vita.

  • Fiori d’arancio: come profumo della terra campana. Sono i fiori dedicati per eccellenza alle nozze e sono simbolo della verginità. La leggenda narra che tre fanciulle, figlie di Atlante e della Notte, custodissero un albero dal frutto meraviglioso. Era l’arancio, dono della Dea Terra a Zeus per le sue nozze, ed è per questa ragione che i fiori di arancio sono considerate di buon augurio.

  • Spezie e frutti canditi: per indicare lo spirito di accoglienza a tutte le culture e a tutti i popoli della città di Neapolis. Napoli infatti in tutta la sua storia è stata sempre un punto d’incontro tra popoli e culture diverse. La città dell’integrazione e dell’accoglienza.

  • Lo zucchero semolato: simbolo di dolcezza, di amabilità, di soavità.

Questi regali furono molto graditi alla Sirena che li raccolse e si inabissò nei fondali del Golfo per raggiungere la dimora degli dei e deporli ai loro piedi.

Gli dei a loro volta apprezzarono la bontà di quei prodotti e li amalgamarono allo scopo di realizzare un dolce che, per la sua soavità, doveva superare la melodia del canto di Partenope: il risultato fu la pastiera napoletana.

 

La leggenda del Mare pasticciere

 

Questi stessi prodotti, essendo gli ingredienti basilari della pastiera, si trovano in ogni leggenda che la riguardi. In un’altra, infatti, sono donate al Mare dalle mogli e dalle madri dei pescatori.

Nella notte di una furiosa tempesta le donne, preoccupate, posero questi prodotti in una rete che lasciarono sulla spiaggia. Speravano che il Mare li gradisse e placandosi consentisse ai loro uomini di ritornare vivi.

Ma la tempesta continuò e, trascinati dai flutti, i prodotti si mescolarono tra loro dentro la rete. Il giorno successivo sulla spiaggia, dove c’era la rete, trovarono un dolce che non avevano mai visto prima. Era come una torta farcita con delle striscette incrociate a formare una rete. Era la pastiera.

Il Mare aveva gradito. E aveva voluto ricambiarle con un dolce fatto con i prodotti che gli avevano donato. Ma la loro gioia fu completa solo quando videro comparire, in lontananza le barche con i pescatori tutti sani e salvi.

 

Dalle sacerdotesse di Cerere alle suore benedettine

 

Passando dalla leggenda alla storia, le vere origini della pastiera sembrano risalire ad alcuni millenni fa. All’epoca romana per trovare un “prototipo” di quello che diventerà il dolce che conosciamo.

Tra le ipotesi più accreditate quella che attribuisce alle sacerdotesse di Cerere la preparazione di un dolce per celebrare il ritorno della Primavera.

Ma altrettanto plausibile l’ipotesi che riscontra delle analogie con focacce rituali che ricevevano i catecumeni nella notte di Pasqua, ricavate dal latte e dal miele all’epoca di Costantino.

 

Il convento della pastiera napoletana

 

Secondo alcuni , un’anonima suora con la passione della pasticceria, avrebbe realizzato la prima torta che noi conosciamo come pastiera per celebrare la Resurrezione di CristoChe sia vero o meno questo particolare i fatti non cambiano: è certo che la pastiera sia nata nelle cucine di un convento. Al pari di altri dolci tipici napoletani.

Con molte probabilità si conosce anche il nome di questo antico convento. Dovrebbe essere quello di  San Gregorio Armeno, adiacente alla famosa strada dei pastori.

Per una curiosa coincidenza questo convento pare si trovi nel luogo dove sorgeva il santuario napoletano delle sacerdotesse di Cerere, le stesse che all’epoca avrebbero preparato il dolce antesignano della pastiera.

Che le suore di San Gregorio Armeno siano state le creatrici della pastiera si potrebbe dedurre da una consuetudine sviluppatasi nel XVI secolo.  

In occasione della Pasqua queste monache producevano una grande quantità di pastiere. Non erano per i poveri, come si potrebbe ingenuamente pensare, ma erano donate alle famiglie dei nobili e della ricca borghesia napoletane.

 

Le mille ricette della pastiera napoletana

 

Per tradizione la pastiera viene preparata il Giovedì santo e la sua caratteristica decorativa sono le sette strisce incrociate sulla superfice. Quattro in un senso e tre in senso trasversale. Rappresentano la planimetria di Neapolis greca con i suoi decumani e i suoi cardini.

Attualmente  i tre decumani tagliano il centro storico. Sono conosciuti rispettivamente come decumano dell’Anticaglia, dei Tribunali e di Forcella. Queste arterie principali sono intersecate da una fitta rete di cardini, stretti vicoletti.

Si tratta di un dolce quindi è banale filosofeggiare sul fantasioso sigificato attribuito alle sette strisce. Ma solo per curiosità, bisogna dire che i decumani sono effettivamente tre ma i cardini corrispondono agli attuali vicoletti del  Centro storico, e sono di gran lunga più numerosi. 

Inoltre, ma questo non riguarda la pastiera, i temini utilizzati per la planimetria greca di Neapolis non sono corretti. Sono riferiti al sistema viario romano quindi successivo e diverso. Utilizzando i termini giusti, i cosiddetti decumani ellenici sono in pratica i “plateiai”, direttrici principali larghe sei metri. I cardini sono invece gli “stenopoi” vicoli larghi tre metri

La composizione della pastiera che però non è un omaggio alla Neapolis greca ma l’offerta della città a Partenope e agli dei, creatori della pastiera. Naturalmente come per tutte le ricette classiche e tradizionali di qualsiasi natura anche per quella della pastiera napoletana ognuno ritiene di possedere quella “vera”.

Però se è vero che gli ingredienti sono quasi sempre sette, è altrettanto vero che partendo da questi ingredienti le varianti sono innumerevoli. Ogni pasticciere professionista o dilettante ha i suoi segreti ma quest’ultimo non sempre li custodisce gelosamente.

Anzi spesso li rivela con entusiasmo per esaltare le virtù della propria ricetta. Del resto la cucina può essere anche arte ed è giusto che ogni artista crei la sua opera partendo da alcuni punti fermi e dai suoi gusti.

 

Le antiche ricette della pastiera

 

Presso la Biblioteca e Museo della Cucina, a Roma sono conservati alcuni testi che riportano antiche ricette della pastiera.

La prima è quella di Antonio Latini tratta dallo Scalco alla Moderna, opera pubblicata negli ultimi anni del Seicento. Questa ricetta però per gli ingredienti usati che per la preparazione è molto lontana da quella che conosciamo.

Al contrario Ippolito Cavalcanti, pubblica nel 1837 Cucina Teorica Pratica che contiene la ricetta che può essere considerata la madre dell’attuale pastiera.

Prendi una misura di grano bianco il migliore, ben pulito, espurgato, lo farai cuocere moltissimo con acqua, e raffreddato lo mescerai con libbre 5 e mezzo di ottima ricotta, che non abbia nessuna parte sierosa, ci porrai libbre 2 ed once 9 di zucchero fiorettato, una libbra di cocozza candita in fettoline, mezza libbra di cedro candito ancor così, numero venti torli d’ovi freschi, e mezza quarta d’oncia di ottima cannella pesta. Farai intanto una pastaccia, ammassata con acqua, ovi, ed un tantino di sugna, la fatigherai ben bene, la levigherai nella spessezza di uno scudo, e ne farai una fodera in un ruoto espressamente per le pastiere verniciato di sugna. Ci verserai la composizione, ed al disopra con la pasta medesima ci farai una graticola con delle strisce di pasta, e così la farai cuocere al forno, servendola calda”.

Una libbra corrisponde a circa 450 grammi, un’oncia circa 30 grammi.

 

La storia della pastiera in versi

 

Un aneddoto storico della pastiera narrato in rima vede come protagonisti Ferdinando II delle Due Sicilie e la moglie Maria Teresa di Savoia, santa donna, infatti è stata beatifica nel 2004, ma musona e restia al sorriso.

A Napule regnava Ferdinando
Ca passava ’e jurnate zompettiando;
Mentr’invece ’a mugliera, ’onna Teresa,
Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa
O’ musso luongo, nun redeva maje,
Comm’avess passate tanta guaje.
Nu’ bellu juorno Amelia, a’ cammeriera
Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera.
Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature:
Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure,
‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina
A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”.
Maria Teresa facett a’ faccia brutta:
Mastecanno, riceva: «È o’ Paraviso!»
E le scappava pure o’ pizz’a riso.
Allora o’ Rre dicette: «E che marina!
Pe fa ridere a tte, ce vo’ a Pastiera?
Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio!
Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio
Ordino al cuoco che, a partir d’adesso,
Sta Pastiera la faccia un po’ più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
ppe te fa’ ridere adda passà n’at’anno!»

Traduzione in italiano

A Napoli regnava Ferdinando
Che trascorreva le giornate saltellando
Mentre la moglie, donna Teresa
Era sempre arrabbiata. La faccia cupa
Immusonita, non rideva mai
Come avesse passato tanti guai.
Un bel giorno Amelia, la cameriera
Le disse: «Maestà, questa è la pastiera.
Piace alle donne, agli uomini e ai bambini:
Uova, ricotta, grano e acqua dei fiori,
Impastata insieme allo zucchero e alla farina
La puoi portare davanti al Re, e pure alla Regina».
Maria Teresa fece la faccia brutta:
Masticando, diceva: «È il Paradiso!»
E le scappava pure un accenno di sorriso.
Allora il Re disse: «E che caspita!
Per far ridere, te ci vuole la Pastiera?
Moglie mia, vieni qua, dammi un abbraccio!
Questo dolce ti piace? E adesso che lo so
Ordino al cuoco che, a partire d’adesso,
Questa Pastiera la faccia un po’ più spesso.
Non solo a Pasqua, che altrimenti è un danno:
per farti ridere deve passare un altro anno!»

 

«Currite, giuvinò! Ce stà ‘a pastiera!»

 

Anche un’altro sconosciuto poeta ha voluto rendere omaggio alla pastiera. Alla sua fragranza, ai suoi ingredienti, al suo successo anche con Partenope e re Ferdinando.

 

«Currite, giuvinò! Ce stà ‘a pastiera!»
È nu sciore ca sboccia a primmavera,
e con inimitabile fragranza
soddisfa primm ’o naso, e dopp’a panza.
Pasqua senza pastiera niente vale:
è ‘a Vigilia senz’albero ‘e Natale,
è comm ‘o Ferragosto senza sole.
Guagliò,chest’è ‘a pastiera.Chi ne vuole?
Ll’ ingrediente so’ buone e genuine:
ova, ricotta, zucchero e farina
(e’ o ggrano ca mmiscato all’acqua e’ fiori
arricchisce e moltiplica i sapori).
‘E ttruove facilmente a tutte parte:
ma quanno i’ a fà l’imposto, ce vò ll’arte!
A Napule Partenope,’a sirena,
c’a pastiera faceva pranzo e cena.
Il suo grande segreto ‘o ssai qual è?
Stu dolce pò ghì pure annanz ’o Rre.
E difatti ce jette. Alludo a quando
il grande Re Borbone Ferdinando
fece nu’ monumento alla pastiera,
perchè facette ridere ‘a mugliera.

 Traduzione in italiano

«Correte, gente! C’è la pastiera!»
È un fiore che sboccia in primavera,
e con inimitabile fragranza
soddisfa prima il naso e poi la pancia.
Pasqua senza pastiera niente vale:
è la Vigilia senz’albero di Natale,
è come il Ferragosto senza Sole.
Gente, questa è la pastiera. Chi ne vuole?
Gli ingredienti sono buoni e genuini:
uova, ricotta, zucchero e farina
(e il grano che mischiato all’acqua dei fiori
arricchisce e moltiplica i sapori).
Li trovi facilmente da tutte le parti:
ma quando devi fare l’impasto, ci vuole l’arte!
A Napoli Partenope, la sirena,
con la pastiera faceva pranzo e cena.
Il suo grande segreto sai qual è?
Questo dolce può andare anche davanti al Re.
E difatti ci andò. Alludo a quando
il grande Re Borbone Ferdinando
fece un monumento alla pastiera,
perché fece ridere la moglie.

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