Processione di fujenti
Tradizioni

Fujenti, emblema mistico pagano della Pasqua napoletana

In molte località della Campania il risveglio del Lunedì in Albis è turbato dal fragore dei botti e dalle voci concitate dei fujenti o vattienti.

Sono pittoreschi personaggi devoti alla Madonna dell’Arco che a Pasquetta manifestano in maniera esuberante e spesso delirante la loro venerazione.

Fujente è un termine napoletano arcaico che tradotto in maniera colorita sta per “colui che corre a rotta di collo”. Infatti ricorda la corsa disperata che, come vedremo, fece il sacrilego protagonista dell’evento che diede inizio al culto.

Sono detti anche vattienti, cioè battenti perché in certi momenti del percorso battono in maniera ritmica i piedi sul selciato.

 

Tre mesi di prove generali

 

La preparazione a questa giornata di devozione ridondante comincia molte settimane prima. Iniziano le prove si studiano le coreografie. Ma principalmente, a partire dal 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, inizia la questua per raccogliere le donazioni da portare al Santuario della Madonna dell’Arco.

 

quadro madonna dell'arco
Quadro della “Madonna sanguinante” sull’altare del santuario di Maria SS. dell’Arco a Sant’Anastasia

Il lunedì dopo Pasqua i fujenti muovono in lunghi cortei diretti a Sant’Anastasia sede della chiesa di Maria SS. dell’Arco.

Ogni associazione partecipa con la propria paranza e con la propria bandiera, in pratica un enorme stendardo e un altarino con la statua della Madonna trasportato a spalla. Il carattere peculiare di questo pellegrinaggio non è certamente la sobrietà.

Per chi non conosce o non si riconosce nello spirito di questa antica tradizione popolare lo “spettacolo” risulta di difficile comprensione.

La scena è dominata da personaggi stravaganti che si esibiscono in ogni sorta di esasperazione emotiva. I fujenti piangono, pregano, imprecano (sic!), si sdraiano per terra e vi restano fino al fischio del capoparanza, camminano sulle ginocchia.

I cittadini dei paesi attraversati dal colorato corteo attendono con entusiasmo e predispongono delle sostanziose batterie di fuochi d’artificio per partecipare anche loro alla devozione.

 

Le origini del culto

 

Le origini del culto risalgono al 1490. In una contrada di Sant’Anastasia era in corso una partita di pallamaglio. Gioco delle bocce, con regole simili al golf e mazze analoghe a quelle del Polo.

Ma evidentemente i partecipanti non avevano la flemma dei lord inglesi. Infatti, dopo un tiro sbagliato, un giocatore diede in escandescenze e scagliò la palla verso un’edicola votiva. Colpì l’immagine della Madonna che cominciò a sanguinare dalla guancia sinistra. Infatti è anche detta Madonna sanguinante.

Lo scellerato preso dalla paura e dalla disperazione partì in una folle corsa come volesse sfuggire all’orrenda colpa di cui si era macchiato.

Purtroppo per lui la notizia del miracolo si diffuse rapidamente e il suo gesto destò grande indignazione. Anche presso le autorità. Processato “per direttissima” venne condannato a morte. La leggenda vuole che il tiglio dove fu impiccato rinsecchì nel giro di ventiquattr’ore.

 

I cento metri dei fujenti

 

Oggi dove c’era l’edicola votiva sorge un Santuario, con un convento annesso alla chiesa. Nel giorno di Pasquetta è il punto di arrivo di una valanga di pellegrini. In larga parte fujenti e devoti provenienti da ogni parte della provincia di Napoli.

Alcuni gruppi di fujenti, o paranze, percorrono il tratto che li porta a Sant’Anastasia camminando anche per l’intera notte. La distanza media del percorso è di circa 20 chilometri, partendo da Napoli e comuni limitrofi. Ma può arrivare a 35-40 chilometri se, per esempio, si parte da Pozzuoli o Quarto. Molti fujenti fanno questo pellegrinaggio per voto, in questo caso la regola vuole che almeno l’ultimo tratto venga coperto di corsa a piedi nudi.

Comunque bisogna dire che comunque la si guardi, cioè da credente o da scettico, è una celebrazione che merita di essere vista. È un fenomeno che offre molti spunti ad un’analisi antropologica culturale della manifestazione e dei partecipanti.

Infatti nel caos che contraddistingue il Lunedì in Albis intorno al Santuario di Sant’Anastasia si accalcano insieme ai fedeli, centinaia di turisti, fotografi e curiosi. In media quattrocentomila visitatori tra fujenti e gente comune.

È come la processione di San Gennaro a Napoli. Che si partecipi per fede o per curiosità, almeno per una volta vale la pena di esserci.

 

Fujenti con la forza di un marine

 

Nel bene e nel male, è difficile rimanere indifferenti alle scene che si verificano quando alla fine del pellegrinaggio i devoti si trovano davanti alla Madonna. In tanti le rivolgono una preghiera o esprimono un desiderio.

Le paranze presentano i propri stendardi e simulacri, dopo aver percorso in fila la navata centrale del santuario. Insieme ad una coda eterogenea composta da ogni forma di umanità. Vecchi, ragazzi, giovani coppie, bambini, famiglie intere, disabili, donne incinte, persone sofferenti.

La maggior parte agghindata nelle più svariate elaborazioni della “divisa” da fujente. Altri con tute sportive o in abiti comuni. Alcuni in contrita preghiera, altri indifferenti alla sacralità del posto che si guardano in giro distrattamente.

Poi ci sono i veri protagonisti del misticismo estremo. Non tanto quelli che vanno all’altare camminando sulle ginocchia, quanto quelli che strisciano lungo l’intera navata con la faccia a terra. Chi ritiene che questo sia il modo appropriato per esprimere la propria preghiera, è giusto che lo faccia e non c’è nulla da eccepire.

Incuriosisce piuttosto la forza necessaria per compiere pancia a terra questo percorso di contrizione. Fatte le debite proporzioni, qualcosa di simile è quello che fanno i marines dopo un adeguato addestramento.

 

L’obnubilato mistico dei fujenti

 

Alcuni sono colpiti da una forma di delirio mistico definito frenesis. Uno stato psicofisico che in medicina è conosciuto come obnubilato, vale a dire un offuscamento dei sensi e della coscienza.

La divisa dei fujenti è inconfondibile ed è rimasta la stessa da secoli. Anche se da tempo qualcosa è cambiato. La tendenza è quella di aggiungere elementi che testimoniano l’appartenenza ad una determinata associazione.

Quella classica è tutta bianca. Con una fascia azzurra, su cui è stampata un’immagine di Maria SS. dell’Arco, portata a tracolla da sinistra a destra. E una fascia rossa alla vita.

I fujenti sono un esempio estremo di miscuglio tra sacro e profano. Anche se osservando dall’esterno, non si ha l’impressione che durante queste manifestazioni prevalga lo spirito della fede.

 

Solenni commemorazioni e grandi abbuffate

 

Un tempo, nemmeno troppo lontano, le grandi celebrazioni religiose come la Pasqua e il Natale, erano “santificate” anche da quelli che in chiesa non ci andavano mai.

Un po’ come quelli che nel Giorno dei Morti si rovesciano a migliaia nei cimiteri. E nella stragrande maggioranza non torneranno a mettere un fiore sulla tomba dei loro defunti fino al successivo 2 novembre. Ma come diceva Totò: è l’usanza e diventa quasi un obbligo, anche solo pro forma.

Le messe di Pasqua e Natale invece hanno perso molti di quelli che, almeno in quell’occasione, una capatina in chiesa la facevano. Questo perché i cattolici, tranne quelli praticanti, ritengono che la fede vada interpretata.

Quindi la messa è un optional, tutte le funzioni liturgiche sono a discrezione e persino i peccati vengono personalizzati. Di solito i veri peccati sono quelli che non commettono loro.

Di conseguenza la messa di Mezzanotte a Natale, la Via Crucis, la Veglia pasquale, e tutte le altre celebrazioni della Settimana Santa non rientrano nei loro programmi. Anzi in tanti ignorano pure che nei venerdì della Quaresima non si dovrebbe mangiare carne.

 

Tavole imbandite a Pasqua e a Natale

 

Al contrario, quello che sanno tutti, praticanti e no, sono i menu abbinati a queste feste. Quindi ben venga la solennità religiosa, ma quello che più conta è il menu che la tradizione prevede per quella festa.

Infatti, l’aspetto culinario non ha mai perso nei secoli lo smalto originale. Anzi poiché la disponibilità media della nostra società è di gran lunga superiore a quella dei nostri lontani antenati, il menu è di gran lunga più ricco.

Il Natale è onorato a tavola con capitone, baccalà, insalata di rinforzo, struffoli, roccocò, pasta di mandorle, cassatine, raffiuoli. E allietato dalle “ciociole”, cioè frutta secca, noci, nocelle, castagne, mandorle e via dicendo.

Nel menu pasquale il podio spetta al casatiello, alla pastiera e ’a fellata, cioè un ricco mix di salumi e formaggi, con uova sode e ricotta salata. L’agnello vero simbolo religioso della Pasqua lo è anche nel menu. Ma da qualche tempo sta perdendo estimatori sulle tavole. Infatti, sempre più persone non hanno il coraggio di mangiarlo. Vedono passare davanti ai loro occhi il dolce musetto di un agnellino.  

 

La benedizione del pranzo pasquale

 

Nella tradizione il pranzo di Pasqua è preceduto da un piccolo rituale. Tutti in piedi intorno al tavolo. Il capofamiglia bagna il ramoscello d’olivo nell’acqua benedetta. E asperge i commensali come fa il prete durante le benedizioni. Poi a seguire una preghiera prima dell’assalto alle portate.

Il ramoscello d’ulivo e l’acqua santa si prendono in chiesa. Rispettivamente dopo la messa della Domenica delle Palme e di Pasqua. Ma chi in chiesa proprio non ha voglia di andarci, può contare su vicini e parenti per un ramoscello.

Il pigro incallito recupera l’acqua santa dopo la benedizione e la conserva per gli anni a venire. Invece, l’opportunista arriva all’uscita di una chiesa alla fine della messa. Si mette in coda con i fedeli che hanno “santificato la festa”. E arrivato al banchetto della distribuzione, con una piccola offerta, ritira una bottiglina d’acqua benedetta.

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