Caffè napoletano macchina espresso bar
Tradizioni

Caffè napoletano, storia, leggende e origini contese

Il caffè napoletano è considerato il più buono del mondo. Che sia vero o meno è questione di punti di vista. Quello che invece non si può discutere è l’importanza del caffè a Napoli. Non è una semplice bevanda ma un’occasione per socializzare, nella realtà partenopea. 

Si dice in senso figurato, «ci prendiamo un caffè assieme», per indicare il piacere di comunicare in maniera informale, come tra amici. Ma il più delle volte il senso figurato lascia il posto al significato letterale e ci si trova al banco di un bar per sorbire una tazzina della deliziosa miscela.

Per i “caffeino-dipendenti” è quasi impossibile farne a meno. Sono come i fumatori accaniti. Nonostante le continue raccomandazioni dei medici, riescono sempre a trovare dei punti a favore della propria incapacità di smettere.

Quando si dice di smettere ovviamente ci si riferisce al fumo. Alla tazzina di caffè napoletano non bisogna mai rinunciare, perché significherebbe rinunciare ad uno dei piccoli piaceri della vita.

Godersi una tazza di caffè bollente non è una prerogativa dell’area napoletana. La bevanda, come la pizza è molto diffusa nel mondo. Anche se molto spesso con il nostro caffè hanno in comune solo il termine. Di sicuro facciamo fatica ad accettare come caffè quello che  bevono gli americani o i francesi.

 

Cos’è e da dove proviene il caffè

 

Le miscele di caffè si ottengono dalla macinazione dei semi di alcuni alberelli tropicali del genere Coffea. Le specie del genere Coffea sono oltre un centinaio ma non tutte vengono commercializzate. Tra quelle utilizzate le miscele migliori e più diffuse sono l’Arabica e la Robusta.

Etimologicamente il termine caffè deriva dall’arabo qahwa, cioè “eccitante”. Ma gli etiopi sono convinti che la derivazione vera provenga da Kaffa, regione dell’Etiopia dove la pianta cresce spontaneamente.

E non hanno tutti i torti. Infatti, da quella area arriva uno dei caffè più pregiati del mondo. I metodi di lavorazione sono rimasti inalterati nei secoli poiché vengono tramandati di generazione in generazioe. E la raccolta a mano rappresenta una fonte di guadagno per gran parte della popolazione.

Ma l’origine del nome non è l’unico argomento di discussione. Ancora più accesa è la disputa sul luogo di origine. Se lo contendono Yemen, Etiopia, Persia e secondo una leggenda anche l’Abissinia. Quello che è certo è che in mancanza di prove fondate, sono nate tante leggende a sostegno delle pretese dell’uno o dell’altro. 

 

Il pastore Kaddi e le capre furiose

 

La leggenda più diffusa è raccontata in numerose versioni ma il denominatore comune sono le capre, i pastori e i monaci.

In una di queste, il  pastore Kaddi nota lo strano comportamento delle sue capre al pascolo. Sono nervose, aggressive, inquiete e ostinate. Nei momenti di maggior furore “incrociano” le corna senza troppi complimenti.

Kaddi è sbalordito e preoccupato da questo comportamento. Nota però che l’eccitazione aumenta quando si allontanano e raggiungono un pascolo adiacente.

Decide di seguirle e scopre che iniziano ad agitarsi dopo aver brucato i semi di alcune piantine. Ma si rende anche conto che averne scoperto l’origine non significa conoscerne la natura né i rimedi. Del resto come potrebbe un pastorello, ignorante come le sue capre, riuscire a darsi una risposta?

Capisce che deve rivolgersi ad una persona di una certa cultura. Sceglie il vecchio abate Yahia del vicino convento. Il vegliardo non conosce quella pianta né le proprietà che causano gli effetti illustrati da Kaddi.

Ma intuisce che quella involontaria scoperta può essere sfruttata con profitto. Infatti, dopo qualche esperimento ne ricava una bevanda amara ma dotata di molte virtù. Capace di riscaldare e rinvigorire il corpo. Liberare dal sonno e dalla stanchezza.

 

Con il caffè l’arcangelo Gabriele cura Maometto

 

In un’altra leggenda si incontrano due autorità di primo piano dell’Islam e del Cristianesimo. Infatti i protagonisti sono Maometto e l’arcangelo Gabriele.

Il Profeta per qualche motivo stava molto male ma in suo aiuto che intervenne l’Arcangelo. Gli consegno una strana tisana ricevuta da Allah in persona. Una bevanda scura come la “Qawa”, la Sacra Pietra Nera della Mecca.

Questo infuso ebbe un effetto miracoloso su Maometto che non appena l’ebbe bevuta poté risollevarsi e riprendere la sua divulgativa attività di profeta.

Ma non solo. Come narrò Antonio Fausto Nairone, orientalista libanese del XVII secolo, Maometto dopo avere assunto questa bevanda “disarcionò in battaglia quaranta cavalieri e rese felici nel talamo addirittura quaranta donne. Altro che pillola blu.

 

La Chiesa e la bevanda del diavolo

 

Questa straordinaria guarigione, mise in allarme la Chiesa, che già aveva molte riserve su questa che era ritenuta la bevanda del diavolo, capace di alterare la volontà della persona con i suoi effetti eccitanti.

I vertici vaticani forse preoccupati di ritrovarsi dei fedeli poco remissivi ne proibirono l’assunzione con tutta la forza e l’ottusità di cui erano capaci.

Almeno fino a quando Clemente VIII taglio corto con questi pregiudizi e disse: «Questa bevanda del diavolo è così buona… che dovremmo cercare di ingannarlo e battezzarlo!»  

Così anche i religiosi che ancora non lo avevano fatto, sicuramente pochi, poterono elettrizzarsi con il caffè. Sperando forse, con ciò di ottenere lo stesso successo di Maometto nella seconda parte della sua performace.

 

 Alì sfortunato monaco sceicco

 

Lo sceicco Ali ben Omar, invece, era un monaco e rimase solo durante il pellegrinaggio verso Mokka per la morte del suo maestro, e compagno di viaggio, Schadeli. Proseguendo nel suo percorso lo raggiunse la notizia di una terribile peste che aveva colpito Mokka.

Con questa prospettiva, a meno di non essere un incrollabile ottimista, il povero Alì avrebbe dovuto considerare che questo viaggio iniziato male stava procedendo peggio.

Sarebbe quindi stato saggio tornarsene a casa. Infatti prese proprio questa decisione e se ne stava tornando alla sua città. Ma lungo la via del ritorno gli apparve un angelo che lo convinse a tornare un’altra volta indietro e raggiungere Mokka.

Evidentemente l’angelo aveva i suoi buoni motivi per averlo mandato a Mokka. Infatti la sua presenza fu preziosa perché, pregando Allah, guarì molti malati tra cui la figlia del re.

Questa guarigione però non si rivelò una una grande fortuna. Infatti la ragazza si innamorò di lui e il re, suo padre, si seccò molto di questo idillio per cui decise, ingrato e da gran cialtrone, di cacciare il monaco dal regno.

 

Alì Ben Omar si ritira sulla montagna

 

Le prospettive non erano molte per cui scelse di andarsene sulla montagna a fare l’eremita. Non era una condizione piacevole ma il vero problema era la fame e la sete. Infatti , aveva trovato l’alloggio in una caverna ma del vitto nemmeno l’ombra.

Rivolse allora le sue preghiere al maestro Schadeli, che dall’alto dei cieli dove ormai si trovava non gli fece mancare il suo aiuto. Inviò un magnifico uccello dalle piume variopinte e dal canto melodioso che scosse Alì dal torpore in cui era caduto.

Attratto poi dalla bellezza di quell’uccello, si avvicinò per guardarlo meglio e arrivato a poca distanza dal volatile notò un arbusto con fiori bianchi e frutti rossi: era il caffè.

Da quel regalo celeste riuscì a trarre un gustoso e salutare infuso che, in un certo senso, gli permise di aprire il primo bar della storia. Infatti, grazie alla bevanda poté ospitare dei pellegrini e “prendendo un caffè insieme a loro” poté interrompere la sua triste vita di eremita.

E non solo. Grazie ai suoi ospiti si diffuse la notizia del suo straordinario infuso dalle qualità magiche e Alì poté tornare nel regno accolto, ancora una volta, con grandi onori.

 

 Un passo nella storia

 

L’ultima leggenda è la meno leggenda perché pare riporti alla reale terra di provenienza del caffè: l’Abissinia. La scoperta però fu piuttosto traumatica e sproporzionata.

Un vasto territorio coperto da piante selvatiche di caffè prese fuoco e l’incendio, propagandosi per decine di chilometri, diede vita alla prima torrefazione naturale della storia.

Come si può immaginare  l’aroma si propagò in un ampio raggio, anche a grande distanza dalla zona bruciata e dovette essere un’esperienza inebriante per tutti i residenti. Solo chi è passato nei pressi di una torrefazione nel momento della lavorazione può comprendere il fascino di quell’aroma in uno spazio aperto.

Passando dalla leggenda alla storia, molte testimonianze concordano sulla diffusione, già alla fine del XVI secolo nell’Oriente islamico del caffè, come bevanda.

 

Il caffè diventa il vino d’Arabia

 

Infatti già nel 1500 in Medio Oriente erano comuni i qahveh, una sorta di caffetterie dove gli uomini si riunivano per bere caffè, tè, giocare o ascoltare musica.

Il motivo di questo enorme successo del caffè nel mondo islamico si spiega con il divieto dell’Islam di consumare bevande alcoliche. Infatti il caffè divenne famoso anche come il “vino d’Arabia”.

La diffusione del caffè in Europa invece è legata all’espansione dell’Impero Ottomano fino alle porte di Vienna. Fu in quell’occasione che i viennesi ebbero modo di conoscere questa bevanda e ad importarne enormi quantità, a dispetto delle barriere doganali.

Verso la fine del Seicento anche in Europa cominciarono a proliferate le caffetterie. Uno sviluppo che interessò l’intero continente ma in prevalenza il Regno Unito, dove se ne contavano a migliaia, e in Francia.

Sin dalle origini questi locali ebbero una doppia anima. Una prettamente conviviale e l’altra aperta al dibattito e al confronto, per gli intellettuali. Generalmente, l’effetto eccitante del caffè e la foga del dibattito prolungava questi incontri fino a notte inoltrata.

 

Le caffetterie entrano nel mirino dei governi

 

A testimoniare la correlazione tra il caffè, come punto d’incontro, e gli intellettuali, Pietro Verri pubblicò la più significativa rivista dell’Illuminismo italiano: Il Caffè.

In molte caffetterie però, col tempo, le discussioni letterarie degenerarono in pericolose, almeno per i governi, polemiche politiche e le forze di polizia intervennero per chiudere quelle ritenute potenziali covi di sovversivi

Le caffetterie erano generalmente il luogo d’incontro della borghesia, in contrapposizione ai salotti aristocratici e alle osterie popolari.

In Italia, le più antiche botteghe del caffè nacquero a Venezia. Circa duecento in tutta la città. Ma di queste l’unica ancora operante è il Caffè Florian, aperto in piazza San Marco dal 1720.

Nel 1750 Carlo Goldoni portò sulle scene una commedia che forniva un quadretto della vita e dell’atmosfera che caratterizzava questi locali: La bottega del caffè.

 

La coccumella e il coppetiello di Eduardo

 

Nello stesso periodo, il caffè veniva preparato a Napoli con una variante, rispetto a quello che era stato fino a quel momento noto come caffè alla turca. Il metodo partenopeo prevedeva il filtraggio facendo colare l’acqua bollente con il sistema tipico della caffettiera napoletana, la famosa coccumella.

Quella resa famosa da Eduardo De Filippo, nella sua commedia Questi fantasmi, quando seduto, dal balcone spiega al suo dirimpettaio come ottenere i risultati migliori. Cioè utilizzando, durante la colatura, un coppetiello, cono di carta arrotolato a mano e posto sul beccuccio della caffettiera per salvaguardare l’aroma del caffè.

 

1860, nasce a Napoli il tempio del caffè

 

Nel 1860, lo stesso anno dell’Unità d’Italia, nacque a Napoli il vero tempio del caffè: il Gambrinus. Situato tra via Chiaia e piazza Plebiscito, si colloca tra i primi dieci Caffè d’Italia. Arredato in stile Liberty conserva tutti gli interventi e le opere realizzate da artisti napoletani dell’Ottocento nei suoi locali.

Quello che potrebbe sembrare strano è il nome dato a quel locale. Questo Gambrinus con il caffè non c’entra niente. Infatti, è il leggendario re delle Fiandre Jan primus, ed è considerato il patrono della birra. Una bevanda che, in effetti, con il caffè ha ben poco a che vedere. Ma è una contraddizione solo apparente perché in quegli anni il Gambrinus era anche birreria. Come tante altre caffetterie simili.

Il Gambrinus è stato frequentato nella sua lunga storia da artisti, attori, intellettuali, statisti e personalità di ogni genere. Napoletani, italiani e internazionali.

Personaggi del calibro di Oscar WildeErnest Hemingway, Jean Paul SartreGabriele D’Annunzio, la cancelliera tedesca Angela Merkel. Tutti i presidenti della Repubblica degli anni da Cossiga in poi.

E naturalmente saranno stati frequentatori abituali, Totò, De Filippo, Matilde Serao, Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo, per citare solo qualcuno dei grandi napoletani.

© Riproduzione riservata

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cookie policy Privacy policy Aggiorna le preferenze sui cookie